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Adriano Gramigni, voce di basso Andrà a Pechino con Zubin Metha

Il maestro lo ha notato al Maggio Fiorentino. Grande talento, amore per Verdi. Il cantante si racconta così

Adriano Gramigni, voce di basso Andrà a Pechino con Zubin Metha

Si fa presto a dire "figlio d’arte". Adriano Gramigni ha cominciato a frequentare il Conservatorio di Parma a 19 anni, indotto da una contaminazione famigliare: la madre Elisabetta Ciani, soprano, accoglie in casa giovani allievi e in questo nido di sperimentazione il piccolo Adriano canterella canzoncine infantili, fino a quando a 14 anni, al tempo del cambiamento ormonale, ci si accorge che il "figlio d’arte" possiede un vocione scuro dono di mamma natura. Lo ricordiamo al Politeama con la Camerata in quel canto ostico di Sostakovic. Ma tu conosci il russo? "Macchè, che fatica….mi son fatto aiutare e la pagina dello spartito in russo con i miei appunti a mano sembra diventata una carta geografica!". Frequenta masterclass di livello e la sua voce e la sua intelligenza interpretativa viene notata: calca subito prestigiosi palcoscenici, fino alla Scala, in ruoli importanti di comprimariato che lo portano già ad una galleria di 30 ruoli accanto a massimi artisti del momento come Mehta, Netrebko, Meli, Salsi. "Il maestro Mehta mi ha sentito nel Don Giovanni al Maggio Musicale Fiorentino e mi ha proposto di andare ad ottobre con lui a Pechino per Aida nella parte di Ramfis, il perfido capo dei sacerdoti; e poi il Requiem di Verdi in Belgio". E’ di ritorno dal Festival di Taormina con personaggi di Puccini. "In Puccini il basso non ha molta importanza, di Bellini potrei cantare tutto; ma il mio preferito è Verdi e la mia categoria vocale è quella del basso cantabile dove Verdi dà il massimo della sua arte, canto legato ma espressivo". Parla sempre di Verdi: "Basta seguire quello che lui ha scritto, dinamica, carattere, indicazioni, segni d’espressione"; ed escono fuori personaggi giganteschi: Fiesco, Banco, Ferrando, Sparafucile", aggiunge. Diche che "il canto è come una dipendenza", parla del brivido lungo schiena che arriva quando si sente dentro il personaggio: "Penso alla grande figura di Filippo II del Don Carlos, il re dibattuto tra il dovere e l’essere padre... E non devo essere Adriano, ma Filippo".

L’ultima riflessione. "So che nella mostra pratese dei documenti verdiani c’è lo spartito d’epoca di Ernani, la prima opera di Verdi rappresentata a Prato nel 1845, che contiene una rara dicitura del basso Ignazio Marini per una ’cabaletta scritta appositamente dal maestro Verdi’... Mi piacerebbe vederla, magari cantarla". Ancora Verdi.

Goffredo Gori