La pesante e distruttiva alluvione che colpì Prato e la sua provincia il 2 novembre 2023 poteva essere prevista e dunque contenuta? La domanda emerge con forza nel quadro dell’avviso di conclusione delle indagini della procura di Prato, giunto dopo oltre un anno di attesa. Omicidio colposo e disastro colposo le ipotesi di reato contestate a quindici tra amministratori e tecnici. Proprio nella catena di eventi di quel giorno sott’acqua si incardinano le responsabilità da accertare in fase processuale: dall’allerta meteo, alle esondazioni in serie avvenute in tutto il bacino idrico, tra fiumi come il Bisenzio e il reticolo minore di torrenti, rii e ruscelli, fino alla conta dei danni e alla tragica notizia delle morti a Bagnolo e a Prato.
Il primo dei dubbi riguarda l’allerta meteo diramata dalla Protezione civile della Regione, arancione per il rischio idrogeologico e gialla per le precipitazioni. La popolazione si trovò impreparata davanti a uno scenario eccezionale, mai accaduto nella zona pratese con quella violenza. E anche il rischio idrogeologico, che riguarda gli effetti delle piogge sul territorio, era stato segnalato, ma non indicava esondazioni e alluvioni. Nessuno si aspettava l’incapacità dei corsi d’acqua di smaltire le piene improvvise. E che forse quell’allerta meteo non fosse abbastanza, altro dubbio, per quel nubifragio e per gli altri che si sono verificati in Italia – vedi Emilia Romagna o Marche – lo si capisce dal fatto che la Protezione civile da allora ha compiuto un ulteriore passo in avanti, per riuscire a raggiungere più persone possibile, con il nuovo sistema di allerta nazionale It-alert, che funziona in caso di gravi pericoli senza bisogno di scaricare app, consentendo di ricevere in automatico una comunicazione sul proprio cellulare. Il test dell’It-alert su Prato c’è stato lo scorso 23 gennaio. Gli altri dubbi riguardano il reticolo idrico minore.
Prima del 2 novembre 2023 l’importanza dei piccoli corsi d’acqua era stata ampiamente sottovalutata, così come la presenza di fiumi e torrenti tombati – tra tutti il Trescellere a Vaiano, per il quale non è stata formulata nessuna ipotesi di reato nonostante la devastazione – che potevano diventare come bombe ed esplodere, portando via argini, case e strade.
Ultimo dubbio, che è un enorme quesito ancora acceso, è la procedura di ripristino del territorio e di riparazione dei danni inferti dall’alluvione. I Comuni si sono trovati ingessati da lungaggini burocratiche e da meccanismi decisionali che, a parte le amministrazioni, coinvolgevano Regione, Consorzio di Bonifica, Conferenza dei servizi, a volte il Genio civile, con il risultato che troppe parti in causa hanno finito per non risolvere per mesi e mesi i problemi concreti degli sfollati e degli alluvionati.
Elena Duranti