Prato, 2 novembre 2024 – Pioggia, pioggia, pioggia. E’ il 2 novembre, il giorno dei morti, il cielo è grigio, l’acqua martella le strade, i tetti, i corsi d’acqua, i campi. L’allerta è arancione ma le allerta, soprattutto a novembre, un anno fa non facevano così paura. La sala operativa della protezione civile è aperta, il sito del Comune ora dopo ora aggiorna la situazione. E’ il tardo pomeriggio quando scatta l’allarme per una possibile persona scomparsa nel sottopasso di via Ciulli, che è chiuso dopo la tragedia di tredici anni prima, con le tre donne cinesi uccise dalla furia dell’acqua nella notte. Arrivano i sommozzatori, non trovano nessuno. E’ come un segnale premonitore. Uno dopo l’altro si chiudono i sottopassi. E si avvicina la sera. La situazione precipita. Verso le 19.30 esonda la Furba a Seano, un fiume d’acqua invade le strade, le case, travolge le auto. Le prime, impressionanti, immagini iniziano a correre sui telefonini, ma il peggio deve ancora arrivare. Troppa pioggia è caduta dal cielo, il reticolo minore non regge, non reggono il Ficarello, la Bardena, il Bagnolo. Intorno alle 21 succede quello che nessuno ha memoria fosse mai accaduto: esonda il Bisenzio, a Santa Lucia.
Poco prima i telefoni nelle case avevano iniziato a squillare: la voce registrata di Matteo Biffoni avvertiva tutti del pericolo, chiedeva di non uscire, di salire ai piani alti se fosse stato necessario. Ma è intanto l’acqua a invadere le case, le strade, le fabbriche e i negozi a Figline, Villa Fiorita, Galciana, Oste, Bagnolo e verso nord Gamberame, La Briglia, Vaiano, Migliana.
La notte più lunga che Prato ricordi. Si attivano subito i soccorsi, un esercito di volontari, le forze dell’ordine: in prima linea oltre 150 persone, le sirene nel buio, il fango che travolge ogni cosa. Anche Campi Bisenzio è sott’acqua. L’alluvione ferisce la piana, con il cemento accumulato da decenni nei luoghi dove costruire così tanto non si sarebbe dovuto, dove si sono tombati i corsi d’acqua e le gore. Quel giovedì nero sono caduti 155 millimetri di pioggia in poche ore, in duecento anni non era mai accaduto. Una bomba d’acqua, appunto, che nessuno aveva previsto di quell’intensità. Finisce allagato anche il pronto soccorso del Santo Stefano, che diventa quasi del tutto inagibile: un ospedale non solo piccolo, ma costruito in una zona considerata a forte rischio in caso di alluvione. E l’alluvione è arrivata. C’è un morto a Montemurlo e c’è un disperso, la seconda vittima che sarà ritrovata solo quattro giorni dopo: un’anziano trascinato da Villa Fiorita a Iolo dalla furia della Bardena. Davanti agli occhi e sui telefonini scorrono le immagini che nessuno dimenticherà.
La mattina dopo, venerdì 3 novembre, la luce del giorno restituisce con più chiarezza i dettagli della tragedia. Quasi 4mila le imprese devastate, oltre 10mila le abitazioni allagate. Nelle zone colpite mancano l’acqua e l’elettricità, le strade sono bloccate dal fango, le auto sommerse come relitti, le targhe sparpagliate in ogni dove, come i pesci del Bisenzio. I trasporti ferroviari sono in tilt. Resteranno chiuse per giorni le scuole, vengono chiusi i teatri. Ma Prato reagisce. Oltre i danni che sono enormi, oltre le lacrime, la paura e la rabbia. La macchina dei soccorsi si mette in moto, quasi duemila volontari corrono ad aiutare le centinaia e centinaia di famiglie con le case invase dal fango. Gli stivali e le pale, la voglia di fare qualcosa per gli altri. Si spala il fango anche nelle fabbriche, tutti insieme. Sarà difficile ripartire, tutti lo pensano, tutti lo sanno. Il distretto è in ginocchio. Un passo per volta. Arrivano i rinforzi, le idrovore, anche l’esercito. Ci sono oltre 50mila tonnellate di rifiuti da smaltire e gli impianti non bastano. Mobili, elettrodomestici, automobili, macchinari, le giacenze nei magazzini, le pezze e i filati, i campionari. Ci sono ricordi perduti per sempre. Piove ancora nei giorni successivi, ci sono nuove allerte e altre evacuazioni. Qualche sciacallo si avvicina alle case in cui non si può vivere, altri sciacalli si inventano truffe al telefono.
Faticosamente si inizia la conta dei danni. Mezzo miliardo, si ipotizza. Partono le raccolte fondi con il Comitato Prato emergenze, arriva il vice premier Tajani e annuncia i primi 300 milioni per il distretto ferito. Non mancano le polemiche. Biffoni lo dice: rossa doveva essere l’allerta. I sindaci, tutti i sindaci, sono in prima linea, così come le forze dell’ordine, i volontari. Ci saranno altre notti di paura. Giorno dopo giorno Prato trova però la forza di reagire, si rimbocca le maniche, va avanti. Continua a farlo.
Ci sono state colpe, che vengono da lontano. Spunta una mappa disegnata nel 2019 dall’Autorità di bacino dell’Appennino settentrionale sui rischi in caso di alluvione: Maliseti, Narnali, Bagnolo, Figline, Galciana sono segnate in rosso. Eppure si è continuato a costruire. Ci sono evidenti criticità nella manutenzione dei corsi d’acqua e delle fognature, una filiera di compiti e responsabilità non sempre chiara. Comuni, Province, Regione, Genio Civile, Consorzi di Bonifica, Autorità di bacino, Protezione civile, Ministeri, perfino le Soprintendenze. C’è la burocrazia, sempre un ostacolo quando si tratta di agire, a frenare la buona volontà, il buon senso. Oltre gli inevitabili e spesso stucchevoli teatrini della politica, ci sono 60 milioni di ristori pubblici che non sono stati ancora richiesti.
A distanza di un anno il cielo è azzurro, ma i problemi non sono risolti, restano le cicatrici lasciate da quella drammatica notte: non si possono dimenticare, non si devono dimenticare. Proprio in questi giorni le immagini di una gigantesca tragedia arrivano dalla Spagna a ricordarci le immani devastazioni dell’acqua, delle piogge implacabili che ingrossano fiumi e torrenti, e portano distruzione e morte. La nostra terra è troppo fragile.