Prato, 5 aprile 2020 - Mascherina, tuta, doppio copriscarpe, occhiali e tripli guanti. La situazione è complessa e delicata, a cominciare dalla vestizione. L’ansia sale perché si sa di andare a prendere un paziente Covid. Ma le cautele non bastano mai. Non solo per proteggere se stessi da un possibile contagio, ma soprattutto perché il trasporto di un malato del genere non è semplice e spesso deve essere svolto alla presenza di un medico rianimatore. Ma nessuno si tira indietro. "Dalla sede smistano i servizi e quando ci chiamano per il trasporto di un malato Covid siamo pronti. Abbiamo dato la disponibilità. Quello che c’è da fare, lo facciamo. Soprattutto in momenti come questo in cui c’è bisogno della collaborazione di tutti". Paolo Lunardi, 39 anni, è uno dei quindici dipendenti della Misericordia di Prato che presta servizio sulla nuova ambulanza attrezzata con letto mobile di rianimazione, ventilatori polmonari, pompe a infusione, defibrillatore e bio-contenimento per il trasporto dei pazienti Covid più gravi da un ospedale all’altro. Lunardi non si sente un eroe ma svolge con coraggio il suo lavoro, insieme ai colleghi, sapendo di essere indispensabile a chi ne ha bisogno. Anche lui combatte in prima linea.
Quanti trasporti eseguite al giorno? « Uno, massimo due. Non sono situazioni semplici. Ci vogliono tempo e attenzione, non solo nella prepara zione ma anche nello svolgimento. Trattiamo pazienti delicati, gravi".
Quante ambulanze ci sono attrezzate per il bio-contenimento? "Solo quattro in tutta la Toscana, a Prato c’è la nostra".
Quando vi hanno detto che avreste fatto questo servizio, come avete reagito, qualcuno ha preferito tirarsi indietro? "Assolutamente no. Abbiamo lo stesso spirito di servizio di sempre. Adesso c’è bisogno di fare questo e lo facciamo, anche se costa sacrifico".
I turni di lavoro sono massacranti? "Può capitare di lavorare 10-12 ore al giorno. Noi abbiamo dato la reperibilità 24 ore su 24. Quando ci chiamano partiamo. Anche perché non svolgiamo trasferimenti solo in città. Capita di dover portare un paziente Covid da Pontedera all’ospedale di Lucca. O in altri ospedali toscani. Trattiamo solo pazienti ospedalieri che vengon smistati da una struttura a un’altra".
Come vi preparate? "Cerchiamo di coprirci il più possibile: tuta, camice, doppi copriscarpe (sono fini e uno non basta), mascherine FFP3, occhiali, cuffie e doppi guanti. L’autista ha il triplo guanto: una volta fatto il servizio, prima di rimettersi al volante, si leva il terzo strato di guanti".
Quando arrivate in ospedale che cosa succede? "Entriamo dall’ingresso Covid dove il personale ci accoglie e ci guida dal paziente. Non possiamo toccare le superfici. Il protocollo è molto rigido".
Avete mai avuto a che fare con i familiari dei pazienti? "Assolutamente no. I malati sono soli, i parenti non possono entrare in ospedale".
Le è capitato di trasportare un paziente in condizioni disparate? Cosa ha provato? "Ci sono pazienti molto gravi, intubati, quelli per cui è necessario che a bordo dell’ambulanza ci sia il medico rianimatore. La situazione è pesante ma noi cerchiamo di essere sempre col sorriso sulle labbra. A volte, fra di noi, sdrammatizziamo. Ce la dobbiamo fare".
Come si conclude il servizio? "Quando rientriamo in sede ci occupiamo della sanificazione. Buttiamo via gli indumenti, ripuliamo la macchina, la laviamo dappertutto e mettiamo una seconda macchina a ozono per la sanificazione. Ci v uole quasi un’ora".
Ha paura? "La paura è tanta. Stiamo attenti, la Misericordia mette a disposizione tutte le protezioni individuali ma non siamo robot. Andiamo avanti cercando di fare quello che ci chiedono al meglio".
Teme per i sui familiari? "Il pensiero c’è. Ho due figlie piccole, tornare a casa non è mai semplice. Le protezioni non garantiscono al 100%".
Ne usciremo? "Ce la dobbiamo fare. E’ un virus cattivo perché ci allontana dalle persone".
Laura Natoli