"Ammazzò il coinquilino". La sentenza slitta ancora

Lo straniero deve rispondere anche di occultamento di cadavere .

"Ammazzò il coinquilino". La sentenza slitta ancora

Said Jaador, 36 anni

E’ slittata ancora la sentenza a carico di Abdelhadi Hajjaj, chiamato da tutti Madani, marocchino di 51 anni, difeso dall’avvocato Enrico Martini, accusato di omicidio volontario e occultamento del cadavere del coinquilino, Said Jaador, 36 anni. Il processo, in rito abbreviato, ha avuto ieri un altro stop in quanto il giudice, Marco Malerba, ha chiesto di sentire il carabiniere che per primo fece il sopralluogo nello stabile abbandonato a San Paolo dopo, successivamente, fu poi trovato il cadavere della vittima. Il processo è quindi slittato a metà dicembre. La scorsa udienza, invece, la procura ha chiesto la condanna di Abdelhadi Hajjaj a 18 anni. Per l’accusa, Hajjaj avrebbe ucciso e nascosto, bruciandolo, il corpo del connazionale, poi ritrovato dalla polizia il 9 maggio dell’anno scorso, in uno stabile abbandonato in via di San Paolo. Insieme a lui è finito a processo, Claudio Stefanini, 55 anni, che, secondo l’accusa, avrebbe aiutato Hajjaj a nascondere il cadavere. Stefanini ha chiesto di essere giudicato con il rito ordinario. La moglie e la figlia della vittima si sono costituite parte civile assistite dall’avvocato Katia Dottore Giachino. Madani, clandestino e con una lunga lista di precedenti di polizia, tutt’ora in carcere, non ha mai confessato di essere l’assassino del coinquilino: i due avevano subaffittato da Stefanini una stanza in una casa non distante dal luogo del ritrovamento del cadavere. Il fatto risale alla fine di aprile, inizio di maggio dell’anno scorso. La polizia aveva raccolto elementi a carico di Abdelhadi Hajjaj durante le indagini per la scomparsa di Jaador. Il trentaseienne non dava più notizie di sé dal 18 aprile. La moglie, raccogliendo anche le preoccupazioni dei parenti in Marocco, aveva presentato denuncia di scomparsa il 21 aprile e si era rivolta a "Chi l’ha visto". Nelle settimane successive, sia la donna che i familiari di Jaador avevano ricevuto delle strane foto che ritraevano campi e stabili abbandonati, ma non quello dove era stato portato il corpo. Un tentativo, secondo la polizia, di sviare le indagini. La certezza di quello che era accaduto si ebbe solo la mattina del 9 maggio quando la polizia trovò il cadavere dell’uomo, mezzo bruciato, nello stabile in via di San Paolo. I sospetti ricaddero su Madani che, raggiunto in strada, fu invitato a comparire in Questura. Al termine dell’interrogatorio, nel quale non confessò l’omicidio, venne arrestato.

L.N.