
Bruno Banchini con la sua palla A sinistra il cantiere del teatro: piccoli. in basso, si notano il campione e Pierluigi Nervi
Fu un’impresa, quella di Bruno Banchini. E non fu certo l’unica, ma l’ultima e la più importante: realizzare il grande teatro della città, la Casa dei pratesi, come diceva tanti anni dopo Roberta Betti. Era nato nel 1857, si sposò due volte, restando due volte vedovo, con Marianna Bruni e Clementina Silli. Ebbe un figlio dalla prima moglie, Gennaro, e una figlia dalla seconda, Anita. Morì nel 1937, è sepolto nel cimitero di Chiesanuova. Era uno dei più grandi campioni di pallone elastico, uno sport molto popolare fra il ’700 e l’800: si particava in appositi impianti di gioco, gli sferisteri, che potevano ospitare migliaia di persone. Due squadre in campo, un pallone grande più o meno come quelli di oggi, tirato con un bracciale di legno che avvolgeva il pugno. Perfino Goethe nel suo Viaggio in Italia descrisse una sfida a cui aveva assistito, Leopardi compose A un vincitore nel pallone, dedicata a un amico campione. Banchini era figlio d’arte, imparò dal padre Alessandro i rudimenti del gioco, crebbe negli sferisteri, assistendo fin da piccolo alle partite. A 18 anni il suo esordio: era alto e snello, le braccia forti. Fu ingaggiato dalle squadre di Bologna, Firenze, Pisa, Roma e Torino. A fine ’800 con Giovanni Ziotti, pratese pure lui, era il più acclamato campione italiano. Memorabili furono le loro sfide, il tifo, le scommesse. Era diventato ricchissimo quando nel 1901 appese il bracciale al chiodo e tornò a Prato, con un sogno: costruire un grande teatro popolare.
Nel 1906 acquistò Palazzo Leonetti in via Garibaldi e gli edifici che lo circondavano; nel 1908 ebbe dal Comune il permesso di aprire il suo primo locale, il Kursaal, che in pochi mesi diventò un cinematografo alla moda. "In questo elegantissimo locale tutte le sere si rappresentano grandiose cinematografie da destare la meraviglia del pubblico che accorre numeroso, l’orchestra negli intermezzi esegue in modo lodevole scelti pezzi musicali", scriveva il settimanale La Patria. Altri incassi si andavano a sommare alle ricchezze del Banchini, altre risorse per nutrire il suo sogno. Nel 1911 negli spazi di via Garibaldi nacque il Mikado, una specie di spazio fiera dal gusto giapponese all’epoca molto in voga, con una pagoda al centro, in cui c’erano giochi, attrazioni, ristoranti: un nuovo successo. Nel 1914 altri immobili di via Garibaldi che l’ex campione aveva comprato furono demoliti. Il terreno per costruire il Politeama era ormai pronto. Fu l’Arena Banchini a ospitare all’aperto le prime stagioni di cinema e di prosa nel 1915 e nel 1916. Non era ancora il teatro che conosciamo, ma era l’inizio. Gli anni successivi non furono semplici, i lavori furono spesso interrotti, ci furono controversie burocratiche da dirimere, gli inevitabili intoppi che accompagnano le grandi imprese.
Il cantiere entrò nella fase cruciale nel 1923, quando il Politeama iniziò a prendere forma, con la platea e il palco, e un problema da risolvere: lo spazio era grandioso, bisognava trovare una soluzione tecnica per coprirlo, che però non doveva essere fissa, per poter trasformare il teatro in arena nei mesi estivi. E fu a questo punto che entrò in scena Pierluigi Nervi. Aveva poco più di trent’anni ed era un ingegnere visionario, tra i primi a utilizzare il cemento armato in Italia. Si deve a lui quella meravigliosa cupola apribile che porta il cielo dentro al teatro. Una soluzione che ai tempi pareva una magia. E così si arrivò al 1925, il 2 aprile. Fu un’inaugurazione in grande stile. Le cronache dell’epoca raccontano che Banchini era talmente commosso da non riuscire a parlare, fu il figlio Gennaro a farlo per lui. Nel foyer il busto del campione, con un’iscrizione murata che anche oggi si può leggere: "Mirabile di perseveranza e tenacia, fulgido esempio di forza e di volontà ai suoi concittadini Bruno Banchini dedicava il suo Politeama, perché ivi trovassero ore di diletto e di gaudio, degno e giusto premio alle usate fatiche quotidiane". Poi le note della Tosca. E gli applausi, interminabili.