"Discriminata" in quanto le è stato negato di accedere al "bonus mamma" che la avrebbe consentito di ottenere l’esonero contributivo. La donna, madre di tre figli minori, ha così chiesto aiuto alla Flc Cgil e ha vinto la causa contro il ministero dell’istruzione, dell’Economia e l’Inps. Si tratta di una sentenza pilota, destinata a fare a scuola, che è stata emessa nei giorni scorsi dal tribunale di Prato in favore di una collaboratrice scolastica pratese, assistita nel ricorso dall’avvocato Isetta Barsanti Mauceri, legale della Flc Cgil.
La collaboratrice scolastica aveva un contratto a tempo determinato ed era in possesso dei requisiti previsti dalla legge bilancio del 2023 per poter accedere al bonus mamma: in sostanza la legge prevedeva l’esonero contributivo per le lavoratrici che avevano un contratto a tempo indeterminato e almeno tre figli minorenni. Alla donna era stato negato l’esonero contributivo perché il legislatore aveva escluso che tra i beneficiari della norma potessero rientrare le lavoratrici a tempo determinato. Una legge considerata "discriminatoria" che ha generato le proteste dei sindacati e una serie di ricorsi a catena fra cui quello della collaboratrice scolastica pratese. Il procedimento è arrivato a conclusione nei giorni scorsi con una sentenza a suo favore. Il pronunciamento del giudice del lavoro Mariella Galano di Prato è uno dei primi in Italia.
Il "bonus mamma", introdotto dalla legge di bilancio del 30 dicembre 2023 per i periodi di paga compresi fra il primo gennaio 2024 e il 31 dicembre 2026, rappresenta un esonero dai contributi previdenziali del 100% a favore delle lavoratrici madri di tre figli (poi nel 2024 portati a due) con un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, nei settori pubblico e privato, con l’esclusione del lavoro domestico. Restavano, però, escluse le lavoratrici che avevano sottoscritto un contratto a tempo determinato. "Una disparità di trattamento tra lavoratrici a tempo determinato e indeterminato, assolutamente ingiustificata e contraria ai principi comunitari", ha sottolineato l’avvocato Barsanti Mauceri. "E’ indubbio – scrive il giudice pratese – che la misura si pone in contrasto con la disciplina comunitaria, introducendo una disparità di trattamento nelle condizioni di impiego che non ha altra giustificazione se non la tipologia di contratto (a tempo determinato o indeterminato) che lega la lavoratrice alla pubblica amministrazione". Il giudice ha così condannato il ministero dell’Istruzione, dell’Economia e l’Inps al pagamento della somma versata dalla dipendente corrispondente alla quota dei contributi previdenziali trattenuta in busta paga. "La sentenza è importante perché è la prima e risponde a un’esigenza ormai pacifica di rispetto dei lavoratori e delle lavoratrici a tempo determinato", ha concluso l’avvocato Barsanti Mauceri.
Laura Natoli