MARIA LARDARA
Cronaca

Boom di aperture . Stylist e figli d’arte. Quando l’integrazione passa dai parrucchieri

In centro tante insegne straniere: il giovane Rikaoui Oussama ha il negozio a due passi dal Duomo. In via del Serraglio un albanese e un bengalese .

Euron Miha ha il negozio in via del Serraglio Foto Attalmi

Euron Miha ha il negozio in via del Serraglio Foto Attalmi

Forbici, rasoio e look ben definiti. Segni e sfumature stile saetta di Harry Potter o geometrie stravaganti scolpite sulla cute: l’ultimo arrivato è il ventenne Rikaoui Oussama di "Ousbarber" che, mentre maneggia il rasoio su un cliente italiano dai capelli bianchi, esibisce con fierezza la qualifica rilasciata a Casablanca. A Prato vive da otto anni e quattro mesi fa ha dato via a un piccolo salone dall’atmosfera un po’ underground a due passi dal Duomo, in via del Vergaio. L’ambiente è ben curato e si dice soddisfatto il cliente italiano su cui il ragazzo marocchino sfoggia l’arte di tagliar capelli. "Vengo qui perché Oussama ci sa fare: è davvero bravo". Anche in rete fioccano recensioni positive. Il taglio? Costa solo 10 euro. "Ho quasi tutti clienti italiani: non vengono solo per il prezzo ma perché cercano il design, soprattutto i ragazzini". Il mercato non manca. Ormai i parrucchieri etnici spuntano come funghi, illuminano fondi che altrimenti sarebbero vuoti in un centro storico che continua a cambiare pelle. Nel caso di via del Vergaio, all’angolo con via Convenevole, sono stati eseguiti dei lavori per ricavare da un immobile un locale commerciale a piano terra. La proliferazione degli acconciatori etnici non risparmia via del Serraglio. Qui i servizi alla persona parlano bengalese, la lingua di Euron Miha che al civico 68 ha aperto il suo ‘barber shop’ subentrando nel locale di un ex tatuatore: in zona è in buona compagnia di ‘colleghi’ italiani, davanti a un salone di estetica e accanto a una storica parrucchiera. "Questa strada è poco trafficata - lamenta - dovrebbero passare più auto". Insomma, anche il parrucchiere bengalese - al pari di altri commercianti italiani – sostiene la tesi (discutibile) che più transito di auto porterebbe a un aumento di clientela dentro le mura. A Euron, 27 anni, brillano gli occhi di chi ha coronato un sogno: è arrivato dal Bangladesh lavorando inizialmente come aiuto cuoco a Prato per poi mettersi per conto proprio e continuare così una tradizione di famiglia. "Sono figlio d’arte: mio padre faceva il parrucchiere in Bangladesh ma poi ha dovuto chiudere la bottega", racconta il giovane acconciatore mentre perfeziona la testa di un cliente di origine albanese.

L’integrazione, insomma, passa da rasoi e lamette. "Ho scelto il centro per aprire l’attività perché qui vive principalmente la comunità bengalese ma ho anche tanti ragazzi italiani fra i clienti". Dentro le mura l’arte del barbiere sembra ormai appannaggio di pochi italiani. Come la catena "Machete" aperta due anni fa in corso Mazzoni dove i clienti non mancano mai ma c’è chi storce il naso di fronte a questo boom di parrucchieri etnici. "Con la liberalizzazione delle licenze fatta da Bersani non ci sono limiti all’apertura. Ma i controlli ai titoli di studi vengono fatti?". A chiederselo è uno storico barbiere pratese che preferisce mantenere l’anonimato. In qualche caso fioccano esposti dei residenti che denunciano questi saloni sotto le finestre di casa come base per presunte attività illecite anche alla luce del sole. Un business, insomma, che suscita perplessità. Il nostro viaggio prosegue in piazza San Domenico dove sventola la bandiera del Pakistan, quella di "Pak Italia Parrucchiere" che sta aperto sette giorni su sette. Ma il primo a scrivere la storia dei saloni etnici è stato Khalid in via Carraia, nel lontano 2009. Altro che marocchino. "Ho studiato a Parigi", racconta mentre indica tutto sorridente l’insegna del salone "Parrucchiere Paris". Qui è un viavai di ragazzini delle scuole a tutte le ore. "Oggi uscivo alle 11 e sono venuto a tagliarmi i capelli – racconta uno di loro - Qui sono bravissimi".

Maria Lardara