Cameriera picchiata e sfregiata. L’ex fidanzato al centro di tutto: "La cicatrice lasciata sul volto crea senso di sgradevolezza"

Le motivazioni della sentenza per l’aggressione a Martina Mucci. Per il giudice la vicenda è maturata in un contesto di persone "avvezze alla violenza e alla prevaricazione".

Cameriera picchiata e sfregiata. L’ex fidanzato al centro di tutto: "La cicatrice lasciata sul volto  crea senso di sgradevolezza"

Le motivazioni della sentenza per l’aggressione a Martina Mucci. Per il giudice la vicenda è maturata in un contesto di persone "avvezze alla violenza e alla prevaricazione".

"Una cicatrice che crea sgradevolezza in chi la guarda, in mezzo al volto, fra il sorriso, gli occhi e il naso". Con queste parole il giudice Marco Malerba motiva la condanna per sfregio permanente, oltre alle lesioni, inflitta a Emiliano Laurini, 42 anni di Firenze, Kevin Mingoia, 19, e Mattia Schininà, 21, nei confronti di Martina Mucci, cameriera di 30 anni, pestata a sangue nell’androne di casa la notte del 21 febbraio 2023. Parole dure che connotano il contestato di "violenza gratuita" all’interno del quale è maturata l’aggressione, progettata e premeditata nei minimi dettagli dai tre condannati. Il "deus ex machina" è senza dubbio Emiliano Laurini, ex fidanzato della vittima, difeso dall’avvocato Luca Bellezza e condannato a 9 anni, che come emerge dalle indagini, ha mostrato il suo carattere "violento, prevaricatore, aggressivo e umiliante" nei confronti non solo di Martina, assistita nel processo dagli avvocati Costanza Malerba e Federico Febbo, ma anche della ragazza con cui stava al momento in cui progettò l’agguato ai danni della giovane cameriera.

Non c’è dubbio, per il giudice, su come sono andati i fatti nonostante i tentativi iniziali dei tre di scaricare la colpa l’uno sull’altro e di depistare le indagini. Le intercettazioni telefoniche parlano chiaro, l’ambiente in cui i tre si muovono lo stesso. "Difficile" concedere le attenuanti generiche (Mingoia è stato condannato a sei anni e 8 mesi anche per la rapina, Schininà a quattro per essere stato l’intermediario fra Laurini, il mandante, e i picchiatori), annota il giudice nelle 39 pagine che motivano la sentenza. Sono "avvezzi alla violenza", dice. La vicenda è maturata "in un contesto socioculturale in cui l’espressione delle personalità avviene mediante l’ostentazione sfacciata della violenza, sia fisica che verbale, e in cui concetti come onore, rispetto, porgere le scuse sono trasfigurati in un’ottica di costante affermazione di sé attraverso le prepotenze, la minaccia e l’uso della violenza, avendo come unico scopo quello di prevaricare il prossimo, piegarlo ai propri fini e umiliarlo".

Laurini, ad esempio, è intercettato mentre "minaccia, provoca, propone incontri per ’spaccare la testa’ e i denti, insegnare a portare il dovuto rispetto". Ha una personalità distorta, ma non tanto, come emerso dalla perizia dello psicologo, da essere giudicato non capace di intendere e volere. L’abuso di alcol e, forse di stupefacenti, è solo un’aggravante, non una scusa. E’ lui il "deus ex machina" in quanto mette in moto la vicenda che porterà all’aggressione della Mucci per motivi che sono rimasti "incerti": forse la gelosia, forse la vendetta, forse il risentimento nei confronti di Martina la cui relazione turbolenta era finita un mese prima del pestaggio. Non merita le attenuanti per il contegno avuto nel processo: ha provato a difendersi gettando la colpa addosso agli altri, negando di aver chiesto di picchiarla ma solo di "darle una lezione". E poi quando ha provato a offrire un risarcimento era esiguo e tardivo. Una pena a nove anni di reclusione (Laurini doveva rispondere anche di maltrattamenti in famiglia) è giustificata dallo "sfregio permanente causato, affatto banale e pari a 4 centimetri, in pieno volto, al centro del viso, del dolo e del mandato conferito agli esecutori che rimanda all’esercizio della violenza fisica", scrive ancora il giudice. E’ stato il reato di sfregio quello che ha pesato di più sulle condanne finali: un reato gravissimo che prevede condanne da 8 a 14 anni. Forse, la prima volta che viene applicato dal tribunale di Prato.

"L’effetto che la cicatrice produce è di obiettiva sgradevolezza secondo un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità. Il fatto che la cicatrice non potrà essere occultata in nessun modo naturale e pratico, comporta che Mucci, per il resto della propria vita, quando si interfaccerà con terzi, soprattutto nelle relazioni sociali più intime dove la distanza cosiddetta sociale è azzerata, ogni qualvolta l’interlocutore la guarderà negli occhi e le parlerà, sarà posta nella condizione per cui l’altro vedrà immediatamente e immancabilmente la cicatrice", spiega con efficacia il gup.

Non di meno è la condotta di Mingoia, difeso dagli avvocati Antonio Bertei e Alessandra Mattei, che "agisce su mandato come un delinquente professionale, ingaggiato per rompere ossa, denti e causare sofferenze". La banale spinta a delinquere sono i 400 euro di ricompensa. Non ha mostrato "nessun tentennamento o rimorso", sottolinea il giudice.

Infine Schininà, figura marginale rispetto al resto della vicenda, che nega il suo coinvolgimento nell’azione criminale, ma che crea il contatto fra il mandante e l’esecutore materiale, insieme a un altro minorenne, e che, comunque, era al corrente dei fatti e ha partecipato alla fase preparatoria del delitto, come emerge dalle intercettazioni.

Laura Natoli