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Covid e possibili danni al cervello: il primo studio è del Santo Stefano di Prato

Rilevati disturbi di memoria e del sonno, ansia e depressione, che in alcuni pazienti possono durare mesi. La ricerca è stata pubblicata dalla prestigiosa rivista scientifica European Journal of Nuclear Medicine

Un paziente in terapia intensiva

Prato, 13 settembre 2022 - Uno studio pratese sulle possibili conseguenze del covid sulle funzioni cerebrali è stato pubblicato dall’European Journal of Nuclear Medicine and Molecular Imaging, importante e prestigiosa rivista scientifica. La ricerca è stata condotta su pazienti con sintomi neurologici da Covid-19 durante il periodo pandemico da un team di medici delle strutture di medicina nucleare e di neurologia dell’ospedale Santo Stefano e ha dimostrato che il virus può determinare importanti alterazioni della funzione neuronale cerebrale, in particolare nelle regioni frontali durante la fase acuta della malattia e che tali alterazioni si riducono nel tempo fino quasi a scomparire a partire dal terzo mese dall’infezione. Oltre all’interessamento di altri apparati come quello respiratorio, sono sempre più numerose le evidenze che il Covid-19 possa penetrare nel sistema nervoso centrale determinando riduzioni della funzione neuronale alla base della sintomatologia neurologica osservata in questi pazienti. Lo studio del team del Santo Stefano che ha evidenziato per la prima volta come questi sintomi possano essere severi durante la fase acuta di malattia e persistere in forma più lieve, provocando affaticamento, la cosiddetta "nebbia nel cervello", disturbi di memoria e del sonno, ansia e depressione anche dopo mesi dalla fase acuta nei pazienti long-covid.

"L’obiettivo della ricerca - spiega Stelvio Sestini, direttore della struttura complessa di medicina nucleare del Santo Stefano - è stato quello di capire quali sono le zone del cervello che il virus colpisce in modo preferenziale nei pazienti con infezione da SarS-CoV2 con sintomi neurologici di nuova insorgenza e come evolve nel tempo il danno neuronale dalla fase acuta alla fase cronica, circa nove mesi, cosa che non era mai stata dimostrata fino ad oggi". I ricercatori hanno utilizzato una tecnica di imaging bio-molecolare chiamata tomografia ad emissione di positroni (Pet) in grado di fornire una fotografia tridimensionale della funzione dei neuroni cerebrali, proprio per distinguere le zone del cervello che funzionano bene da quelle che non funzionano. Durante la fase più acuta della pandemia è stato organizzato un percorso ad hoc per per pazienti Covid-19 che avevano necessità di eseguire una indagine di medicina nucleare: "È stato proprio lo studio PET della funzione cerebrale dei pazienti con sintomi neurologi dalla fase acuta a quella cronica l’elemento cardine e peculiare dello studio – aggiunge Sestini –ed ha consenito di fornire importanti risposte sulla fisio-patologia del Covid-19 nel sistema nervoso centrale".

I risultati dello studio hanno dimostrato come la fase acuta dei pazienti con neuro-Covid-19 è caratterizzata da una importante e diffusa riduzione della funzione neuronale associata a gravi sintomi neurologici e che tale fase è seguita da un progressivo recupero della funzionalità cerebrale associato a miglioramento dei sintomi (in particolare della memoria e delle funzioni esecutive) a partire dal terzo mese dall’inizio della infezione. "Proprio in questo senso – ha detto Pasquale Palumbo, direttore della struttura complessa di neurologia - è stato fondamentale riuscire a misurare le alterazioni neuro-cognitive di questi pazienti mediante appositi test, cosa non semplice anche dal punto di vista organizzativo se si pensa al periodo acuto della fase pandemica".

Gli autori dello studio sono Anna Lisa Martini, dirigente medico di medicina nucleare e Giulia Carli della divisone di neuroscienze del San Raffaele di Milano e docente dell’University Medical Center di Groningen, in Olanda. La ricerca ha evidenziato come il bersaglio del virus sia rappresentato dalle regioni frontali, presumibilmente da trasmissione dell’infezione attraverso le vie olfattive, mentre la riduzione funzionale osservata nelle restanti regioni cerebrali potrebbe dipendere da altre vie di propagazione del virus come quella ematica, oltre che dalla azione sinergica dell’infiammazione e dalla riduzione dell’apporto di ossigeno al cervello. E’ stato rilevato che la riduzione della funzione neuronale è più severa in quei pazienti che hanno avuto necessità di ventilazione meccanica.