
Fu per lui un quarto funerale, di cui pochi sanno. La cronaca di Vegliani è un magnifico affresco di incontri e di storie. Con il sindaco Giovannini .
di Anna BeltramePRATOA un uomo come Malaparte, non poteva bastare un funerale. Ci fu quello a Roma, il 20 luglio 1957, ci furono le esequie pratesi che durarono un intero pomeriggio il giorno dopo. Ci fu la tumulazione allo Spazzavento, nel quarto anniversario della morte, il 19 luglio 1961, e ci fu un quarto accompagnamento funebre, spontaneo e del tutto imprevedibile, di cui ben pochi sanno: avvenne lungo la strada che da Roma porta a Prato, presenti fra gli altri il sindaco Roberto Giovannini e l’assessore Pietro Zella, amici entrambi di Curzio. La cronaca di quel viaggio la scrisse Franco Vegliani, il giornalista del Tempo che Malaparte aveva voluto accanto a sé nei mesi del ricovero alla clinica Sanatrix, in Malaparte, il libro pubblicato da Guarnati nel 1957: una miniera di notizie, aneddoti, pezzi di storia e di piccole storie, un affresco magnifico di fatti e personaggi, pennellate di vita (trovare il modo di ripubblicarlo non sarebbe una brutta idea).
Era un sabato, una bellissima sera d’estate, quella dell’ultimo ritorno a casa di Malaparte, il 20 luglio 1957. Dietro al furgone con la salma di Curzio, c’era l’auto su cui viaggiavano anche Vegliani e Giovannini: verso le otto si dovettero fermare a un passaggio a livello sulla via Cassia, poco prima del bivio per Montefiascone, seguiti da altre sei o sette vetture. C’era un gran vento – annota Vegliani – che aveva ripulito il cielo dai temporali dei giorni precedenti, e una luce delicata illuminava il paesaggio. "Che ora meravigliosa, non si poteva domandare niente di più per l’ultimo viaggio di Malaparte", disse uno dei presenti, scendendo di macchina. Altri sentirono, nell’attesa la voce si sparse. Il treno passò, le sbarre si alzarono, le auto ripartirono: "Il furgone non andava a più di quaranta all’ora. Nessuno provò a superarci, nessuno domandò strada con il clacson. Dietro a Malaparte morto si formò lungo la Cassia, per la dolce campagna italiana, nella notte imminente, un piccolo e silenzioso corteo di sconosciuti, e durò senza impazienze, senza diserzioni, fino al bivio per Montefiascone (...). Al momento di separarsi tutti mandarono un saluto". Egle Monti, giornalista del Tempo, amica di Curzio e di Anna Magnani, a quel punto propose: "Se Malaparte ci potesse consigliare ci direbbe di fermarci a Montefiascone, per mangiare". E così fu. A Montefiascone c’era una sagra, la piazza era piena di gente e su una specie di terrazza una banda in uniforme suonava pezzi dell’Aida. "E proprio nel momento in cui ci fermammo – scrive Vegliani –, da dietro la collina si accese un fuoco strepitoso di castagnole. Poi partirono sibili e razzi: e nel cielo, già nero, si aprirono i fiori variopinti dei fuochi d’artifizio. Giancarlo Palazzi disse: Ecco la festa funebre di Malaparte. E davvero pareva così (...). Come se per il suo ultimo viaggio un misterioso regista avvesse accortamente predisposto una serie paradossale di situazioni che potessero somigliare a un racconto dello scrittore". Per quasi un’ora Malaparte morto rimase da solo dentro al furgone parcheggiato in piazza, in mezzo alla gente che si divertiva per la festa, mentre i suoi accompagnatori si intrattenevano a tavola, "senza nessun rimorso per quel temporaneo abbandono (...). Anzi. Il vino famoso di Montefiascone splendeva dorato nei bicchieri".
Il gruppo si rimise in cammino, la Giulietta con a bordo Vegliani e il sindaco Giovannini viaggiava subito dietro al furgone che procedeva lentissimo lungo quel tratto tortuso della Cassia, con la luna che illuminava i profili delle montagne, i boschi, il lago di Bolsena: "Pareva che mai in Italia ci fosse stata una notte così bella". Per tutto il viaggio l’assessore Zella era stato sul carro funebre, seduto al fianco del conducente. A un certo punto Vegliani gli diede il cambio, facendo conoscenza dell’autista: un personaggio. Era stato carabiniere, aveva fatto parte del corpo repressione banditismo ai tempi del bandito Giuliano. Al giornalista scrittore disse che aveva lasciato l’Arma perché si era stancato, perché "non c’era abbastanza disciplina" e che scortando i morti in giro per l’Italia grazie alle mance guadagnava molto di più. "Non potei fare a meno di pensare – scrive Vegliani – quanto sarebbe piaciuto a Malaparte, o quanto dovesse piacergli, essere portato da un uomo che avesse fatto la guerra contro il bandito Giuliano, e che avesse della vita e del mondo così straordinarie opinioni".
Fu lungo il viaggio, quella notte, i chilometri non passavano mai. Superata la rocca di Radicofani, verso la pianura, una pattuglia della stradale intimò l’alt al corteo. "E’ Malaparte", qualcuno disse, affacciandosi dal finestrino. "I due militi si posero sull’attenti e salutarono con la mano al casco", racconta il giornalista. Uno di loro però disse: Era un birichino. "E così Malaparte ebbe in quella notte anche il saluto della polizia, alla quale da vivo in Battibecco non aveva risparmiato più di una volta le sue punte". Il corteo arrivò a Prato dopo le tre del mattino. Al casello dell’autostrada c’era una piccola folla ad aspettare: il feretro entrò in città scortato dai motociclisti del Comune e seguito da una fila di automobili. Con tutti gli onori fu portato in municipio, che aveva il portone e le finestre illuminate, mentre iniziava a fare giorno, nel lungo addio di quella notte.