
di Anna Beltrame
Tristana Tramonti è una donna tenace. Energia da vendere, voglia di mettersi in gioco, nessuna paura della fatica o di ricominciare: a poco più di cinquant’anni ha cambiato vita già tante volte e non ha intenzione di fermarsi. E’ partita dalle giostre, si è inventata una catena di diner in stile America anni ’50 e adesso ha deciso di investire oltre un milione di euro per un ristorante affacciato sul Bisenzio, a due passi da porta Mercatale. Si chiamerà Nos Simul, dal latino, perché "dopo due anni così, vissuti separati gli uni dagli altri, è ora di stare di nuovo insieme". La sua storia, in un giorno come questo, è bella da raccontare.
Partiamo dall’inizio.
"Nasco da una famiglia di giostrai, a Forlì, nel 1970. I miei genitori si separano cinque anni dopo. Resto con la mamma, che muore quando avevo 14 anni. Non sarei così temeraria se avessi avuto una vita facile".
E poi?
"Con mia sorella più grande vado a vivere con i nonni e gli zii giostrai. Una vita itinerante, che non rimpiango. Mi diplomo al liceo psicopedagico, ma capisco che è lo spirito imprenditoriale la mia forza, anche in quell’ambiente spesso maschilista. Mi sposo a vent’anni, con un ragazzo, anche lui giostraio".
E lavoravate insieme?
"Sì. Mi inventavo nuove piazze e nuove giostre, nessuno mi schiacciava, anche se ero una donna. Per una decina d’anni grandi soddisfazioni, poi mi sono detta basta. Per i miei figli, che oggi hanno 22 e 28 anni. Sempre in posti diversi, scuole diverse, amici diversi. Così ho provato a cambiare, a Prato".
Come?
"Una pista di ghiaccio. Natale 2010, piazza Duomo. Un disastro. Su 56 giorni di concessione, con tutte le spese del caso, 53 di pioggia o neve. Non dormivo guardando il Lamma. E mio marito arrabbiato, lui non era convinto del progetto. Ma in una di quelle notti ho capito cosa avrei dovuto fare. Era un sogno tirato proprio fuori da un cassetto: una fotografia del mio viaggio di nozze in Florida, dieci anni prima. Io sorridente e una vecchia Cadillac anni ’50 davanti a un diner: mi è tornato in mente che quel giorno avevo pensato che mi sarebbe piaciuto avere un ristorante così, con l’aria di Happy Days. E mi sono detta: voglio questo".
Nessuna esperienza però in quel campo.
"Ma tanta voglia di provarci. Ho passato altre notti al pc a leggere tutto sui diner americani, in modo manicale. Gli arredi, i pavimenti in bianco e nero, le cameriere con i pattini, i vestiti. Il format American Diner è nato nelle mie notti insonni. Di giorno, quando finivo con le giostre, cercavo il posto da dove partire: ho scelto Calenzano, una strada di fabbriche e prostuite. Mi sono detta: porterò l’America qui. Dicevano che ero pazza, ma grazie al mio diner quel posto ha cambiato volto".
Quando lo ha aperto?
"Dicembre 2011. Dopo aver comprato su internet arredi vintage e aver organizzato l’import delle materie prime dagli Usa, non la carne e il pane però, perché quelli li volevo di filiera corta. Dopo aver distribuito tutta l’estate nei luna park le cartoline che annunciavano il mio sogno americano".
Com’è andata?
"L’8 dicembre, primo giorno di apertura, è stato un flop memorabile. C’era tantissima gente, ma noi non eravamo pronti. Menu troppo lunghi, troppe portate. Non riuscivamo a servire ai tavoli. A un certo punto ho spento la musica e ho chiesto scusa a tutti, raccontando la verità. Questa sera offro io, ho detto. Ma nessuno ha accettato gli sconti, hanno capito che avevamo sbagliato e che volevamo migliorare. Sono stati proprio i clienti a darmi la carica per ripartire. La notte ero già al lavoro per semplificare i menu".
E poi sono arrivati gli altri.
"Sì, a Pontedera, Figline Valdarno, Poggibonsi. A Forte dei Marmi con una corsa contro il tempo a cui nessuno credeva, e a Firenze, prima dietro a Santa Maria Novella, ma era troppo piccolo per i clienti che avevamo, dopo in un locale da mille metri quadri fra via Guelfa e via Nazionale. Poi abbiamo iniziato con il franchising, a Livorno e Parma, ma la formula non mi convince più. Sono molto precisa, le cose devono essere fatte bene. Un esempio: i burger devono essere massaggiati a mano uno per uno prima della cottura, rigorosamente".
Ha un ristorante a Milano.
"Sì, aperto con Andrea Tempestini di Gastronomia Toscana: si chiama Mi garba, cucina toscana ovviamente. E’ un nuovo format, partito poco prima del covid. Finita la pandemia sono convinta potrà avere buone possibilità di espansione".
Due anni difficili.
"Molto. In quei mesi di chiusure scalpitavo, volevo fare qualcosa di nuovo. Finché non è arrivata l’idea di Nos Simul. Dal latino noi allo stesso tempo: bisogna tornare a vivere, insieme".
Racconti il progetto.
"I dettagli saranno una sorpresa fino all’inaugurazione, il 16 marzo. Sarà in via Matteotti, di fronte al Bisenzio: 500 metri quadri su due livelli e uno spazio all’aperto vista fiume. Prato è una città multiculturale, proprio come sarà questo locale. Un luogo dove ritrovare il piacere della convivialità. Cucina nippobrasiliana, tra le nuove tendenze, con la consulenza di Patrick Ramos, fra i maggiori esperti. La chef sarà però una donna: Cristina Liguori, è molto brava".
Quale l’investimento?
"Oltre un milione. Ce la metterò tutta perché le cose funzionino con i ragazzi della mia formidabile squadra, in testa mio figlio e mio fratello minore Tiziano, figlio del padre che ci aveva abbandonato e che ho conosciuto solo alla morte della mamma".
Quante assunzioni?
"Oltre ai miei storici collaboratori, una quindicina di persone fra aiutanti in cucina e camerieri. Non è facile trovare giovani disposti a lavorare la sera e nei weekend. E’ incredibile. Non possono mica pensare di fare tutti gli influencer! Sarà che ho sempre lavorato, ma proprio tanto e senza orari, da quando ero ragazza".
Non le manca un po’ di tempo libero dal lavoro?
"No, il lavoro è la mia grande passione, è la mia vita. Tanti mi chiedono: ma chi te lo fa fare di buttarti anche in questa avventura... Ecco, è la voglia di andare avanti. Non ho paura. Spero solo di non deludere nessuno".