ILARIA ULIVELLI
Cronaca

La tragedia di Vernio e la piaga Alzheimer. Fondi insufficienti per una patologia che tocca oltre 80mila toscani

Le famiglie spesso vivono la malattia nella solitudine per mancanza di servizi. E lo spezzatino delle competenze complica l’accesso: non si sa a chi rivolgersi

La tragedia di Vernio riaccende i riflettori sulla piaga dell'Alzheimer

La tragedia di Vernio riaccende i riflettori sulla piaga dell'Alzheimer

Firenze, 1 ottobre 2024 – Cominciamo subito dicendo che il problema della gestione delle persone sofferenti di Alzheimer o demenza e, più in generale, di tutte le malattie neurologiche degenerative, è – non solo per la Toscana – enorme e ingravescente. Aspettando e sperando nei nuovi farmaci – quelli attualmente disponibili non vanno bene per tutti e devono essere assunti ai sintomi d’esordio della malattia per rallentarne il decorso – ci sono oltre 80mila toscani che soffrono di demenza tra i 960mila over 65, con una percentuale che supera l’8%. «E con l’invecchiamento della popolazione questi numeri sono destinati ad aumentare: oggi colpiscono tra il 13 e il 27% della popolazione ultraottantenne, fino al 40% degli ultranovantenni, con una percentuale maggiore nel sesso femminile», spiega con i dati del sistema nazionale delle linee guida dell’Iss aggiornati alla mano, il professor Sandro Sorbi, punto di riferimento a livello nazionale per le malattie con decadimento cognitivo, direttore della Neurologia dell’azienda ospedaliero universitaria di Careggi.

Dunque mettiamo subito il dito nella piaga: i soldi sono pochi (la Regione ha bussato a Roma chiedendo più fondi nella Giornata mondiale dell’Alzheimer), ma la battaglia per ottenerne di più non deve fornire alibi alla Regione e alle aziende sanitarie per la mancanza di servizi che, per quanto totalmente insufficienti rispetto ai bisogni reali, esistono, anche se spesso restano misconosciuti da gran parte della popolazione.

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Chi assiste a casa una persona con demenza deve affrontare quotidianamente una montagna di problemi che partono dal dolore che genera la sofferenza del proprio caro, dalla preparazione che richiede avere a che fare con persone che hanno sintomi che si aggravano nel tempo e variano (ci sono malati che non dormono, aggressivi, agitati, che non riconoscono più) e arrivano al doversi arrabattare tra mille incombenze giorno per giorno, attraversando un deserto di solitudine.

C’è poco da fare, almeno nelle città la rete della famiglia non esiste più. Zii, nipoti e cugini non badano più al nonno e il peso maggiore spesso ricade su una persona che da sola non può farcela nel mare delle complessità. «Spesso anche i caregiver devono essere aiutati farmacologicamente e se si ammalano diventa un dramma – spiega Sorbi – La gran parte dei familiari che arriva qui si lamenta per la mancanza di servizi e per la difficoltà di raggiungerli».

Mancano le informazioni nello spezzatino di competenze. Per ottenere la valutazione che consente di accedere al Piano assistenziale individualizzato è necessario produrre una valanga di scartoffie, coinvolgendo il medico di famiglia, poi prendendo appuntamento all’Asl di competenza. Si tratta di un documento fondamentale che raccoglie e descrive in ottica multidisciplinare le informazioni del paziente con l’intento di formulare e attuare un progetto di cura e assistenza che possa favorire la migliore condizione di salute e benessere del malato.

Pochissimi ne conoscono l’esistenza, come conferma il geriatra Enrico Benvenuti, direttore del dipartimento di Medicina Multidimensionale dell’Asl Toscana centro: «Ci sono pacchetti a macchia di leopardo, competenze attivate da soggetti diversi, dal Comune all’azienda sanitaria ai medici di famiglia, è normale che i cittadini si perdano e che anche l’organizzazione di programmi personalizzati possa risentirne».

Tutto ciò che è di natura sociale sta da una parte che è diversa da quella dei bisogni sanitari. Eppure il problema è unico. Ma è accettabile che competenze diverse e guerricciole di potere arrivino a complicare così tanto la vita a chi già è in difficoltà da far rinunciare in partenza? I pazienti più gravi hanno necessità di essere seguiti 24 ore su 24, ma in questo momento oltre a scarseggiare i badanti, mancano totalmente quelli formati per trattare persone con questo tipo di malattie, che hanno bisogno di essere stimolati, di uscire dall’apatia, per non aggravare ulteriormente le condizioni. Un badante non è sufficiente, ne servono almeno due. I costi per le famiglie lievitano. Chi non se li può permettere rischia di perdere il lavoro o peggiorare drasticamente la propria condizione di vita anche personale e di relazione, oltre a pregiudicare la salute sino ad arrivare all’esaurimento nervoso. Tutte cose arcinote. Ma nulla cambia.

Anche chi cerca posto nelle residenze sanitarie non casca benissimo: le liste d’attesa sono lunghe. Non va meglio neppure con i costi totalmente a carico, si parla di ben oltre 3.000 euro al mese.  Patologie complesse. Spesso anche gli amici dei caregiver non sanno come aiutare. Sappiano, prima di rinunciare, che anche un abbraccio è di grande conforto.