Dini, il testimone 80 anni dopo: "Fu il caos, un clima di ferocia. Chi non ha visto guerre non sa"

L’ex assessore del Pci: "Avevo 12 anni, ero curioso, andavo con gli amici dappertutto. Ricordo le bombe americane, le razzie tedesche, le persone esasperate. E alcune divennero cattive".

di Anna Beltrame

PRATO

Mario Dini, che ricordi ha del 6 settembre 1944?

"Tanti. Avevo 12 anni, ero curioso, sempre in giro per le strade del centro. Per primi arrivarono i sudafricani, l’ottava armata inglese. Erano di stanza al Collegio, da cui i soldati di colore non potevano uscire, non so perché. Poi arrivarono gli americani, quinta armata: i bianchi alle Cesare Guasti di oggi, i neri intorno al cimitero della Chiesanuova. In città c’era il caos".

Racconti.

"In Comune non c’era nessuno, era tutto fermo. Prato veniva da mesi di bombardanenti americani, non c’era più da mangiare. Andandosene i tedeschi avevano fatto razzia di cibo, di tutto. Non si ha idea fino in fondo di cosa è la guerra se non la si è vista. E’ una tragedia".

Gli americani?

"Distribuivano gomme da masticare, mi ricordo la prima che mi diedero: buona, ma non saziava. Poi erano generosi, tiravano fuori dalle tasche le cioccolate, distribuivano il pane da toast, ma ogni tanto si prendavano a cazzotti tra loro, ricordo una scazzottata violentissima, due per parte, in via Carraia. E cercavano le signorine, che in quei giorni erano poche. Aumentarono presto, c’era bisogno di soldi, di tutto".

I sudafriacani?

"Avevano organizzato un punto di ristoro in via del Pellegrino, dove davano il tè. Lo bevvi per la prima volta, senza zucchero, non mi parve un granché... Noi ragazzini si cercavano gli americani con le cioccolate".

Il Comitato di liberazione?

"Ci volle almeno un giorno perché si insediasse. Furono richiamati al lavoro i dipendenti del Comune, ma non tutti si presentarono. Vennero sospese le leggi contro gli antifascisti, furono nomimati il sindaco e la giunta".

Perché fu scelto Dino Saccenti come sindaco?

"Era antifascista, aveva fatto la prigione e da partigiano combattuto in Spagna. Fu considerato il più autorevole".

Che ricordo ha dei tedeschi?

"A parte le orribili razzie della ritirata e tutto il resto, erano diventati prepotenti. Ancor prima della Liberazione a noi ragazzini i pratesi ci dicevano di andare a togliere i loro cartelli dalle strade. Se ne buttò in Bisenzio uno molto grande, in vetta a viale Montegrappa. Si rischiò tanto".

I fascisti?

"All’arrivo degli americani non era rimasto più nessuno di quelli che contavano".

I 29 martiri di Figline?

"L’ho saputo il giorno dopo, la gente ne parlava. E poi ho conosciuto il Grassi, l’unico che si è salvato, che mi ha raccontato. Scesero verso Prato pensando che i tedeschi non ci fossero più, perché qualcuno aveva detto loro così, di sicuro. Invece un gruppo era rimasto. Ci furono morti, feriti e prigionieri. Il 6 settembre dovevano essere impiccati, anche quelli già morti o feriti, ma iniziarono le cannonate degli alleati e il Grassi riuscì a scappare".

Il 7 settembre l’eccidio del Castello.

"Non ho visto con i miei occhi, ma il mio amico Paolo Vinattieri, che è mancato tre anni fa, sì. Mi raccontò che le persone che furono uccise arrivavano una alla volta, dietro la fortezza, tra via San Giovanni e la basilica delle Carceri. A parte Tantana, chi c’era a sparare non si è mai saputo. Lui faceva parte dei gruppi partigiani di Montale e Quarrata. Voleva vendicarsi della terribile uccisione del fratello. Furono giorni tragici, in cui la guerra tirò fuori il peggio da tante persone, le fece diventare cattive. Il Cln appena insediato diede l’ordine di fermare le violenze, ma il maresciallo dei carabinieri Vivo e il commissario prefettizio Ardizzone li avevano già ammazzati. C’era un clima di ferocia. Con la ricostruzione successiva i pratesi furono bravissimi a far ripartire la città, a creare lavoro, ad accogliere. Ma in quei giorni tante persone per bene rischiarono la vita".

Ad esempio?

"Consorti, il segretario del partito fascista di Grignano, lo conoscevo bene. Un gruppo di antifascisti lo prese e iniziò a picchiarlo con violenza. Mi hanno salvato i comunisti, mi raccontò: riuscirono a fermare i più facinorosi e violenti di quel gruppo".

Un passo indietro. Si ricorda dei bombardamenti?

"La notte dell’11 novembre ’43 fu la più tragica. Due ore di bombe senza sosta, la città illuminata a giorno dai bengala: gli americani bombardavano a tappeto, non andavano per il sottile. Ricordo un uomo in spolverina nera ucciso mentre scappava in bicicletta, la testa sulla strada a dieci metri dal corpo, tra via Bologna e via Battisti. O quel rifugio all’aperto fatto saltare in aria a Mezzana, con non so quanti cadaveri dilaniati. La gente non ha idea di cosa siano le guerre, quando oggi vedo le immagini di Gaza...".