Un esperimento: provare a mandare avanti l’attività di una stamperia cinese, dall’ingente valore economico, sequestrata nell’ambito di un’inchiesta sullo sfruttamento lavorativo. E’ quello che vuole fare la Procura di Prato, guidata da Luca Tescaroli, alla "Arte stampa srl" di via Pistoiese, cuore della Chinatown pratese, sequestrata dal gip – su richiesta della procura – in seguito all’accoltellamento, avvenuto nella ditta, di un operaio da parte di un collega.
Da quell’episodio di sangue si è scoperchiato un vaso di Pandora fatto di sfruttamento del lavoro (su 64 dipendenti solo sei avevano un contratto regolare, 14 erano clandestini e gli altri lavoravano 12 ore al giorno con falsi contratti part time), ambienti insalubri e insicuri, oltre alla presenza di un dormitorio abusivo (usanza che sembrava svanita dopo il rogo del Macrolotto nel 2013, in cui persero la vita sette operai cinesi, ma che adesso sta riemergendo con forza).
E’ l’ennesima storia di sfruttamento che affiora dal tormentato distretto parallelo cinese. L’ultima è nella stamperia. L’attività è stata sospesa ma la procura ha nominato due amministratori: saranno loro a tentare di riaprirla visto "l’ingente valore" in termini di giro di affari, di macchinari e di clienti fra cui figura anche una nota griffe di alta moda. I due professionisti, di Prato e Roma, dovranno valutare se l’attività potrà riprendere mettendo in regola tutti i 64 operai. Altrimenti sarà avviata la procedura di liquidazione. Un test sul campo per verificare se l’azienda riuscirà ad andare avanti lavorando nella legalità. Lo sfruttamento del lavoro, insieme al contrabbando delle merci e alle ditte "apri e chiudi", è uno dei tasselli che contribuiscono a creare concorrenza sleale.
Le indagini della procura, svolte dai carabinieri di Prato, sono partite dall’accoltellamento del cinese e si sono avvalse della preziosa collaborazione della vittima a cui si sono aggiunte le testimonianze di altri dieci operai in seguito all’appello del procuratore Tescaroli. Ne è emerso un quadro allarmante: "L’attività d’impresa è stata esercitata mediante l’impiego di lavoratori stranieri, tutti versanti in uno stato di fragilità e di bisogno", ha constato il gip, e sottoposti a ritmi di lavoro massacranti in un ambiente insalubre e "privo di presidi per sicurezza, salute e integrità fisica dei lavoratori".
L’attività era "caratterizzata da alto rischio, perché svolta con macchinari pericolosi" (calandre, plotter industriali, ramose, generatori di vapore), attrezzature semoventi, come carrelli elevatori, per il cui impiego i lavoratori irregolari non erano neppure stati formati. Il titolare e il gestore sono stati arrestati.
Laura Natoli