PRATO
Cronaca

Donano il plasma per battere il virus "Giusto così, ha ucciso mio padre"

Selezionati in ospedale gli ex pazienti più adatti. L’equipe medica in prima linea: "Tantissimi si sono fatti avanti" La storia di un infermiere infettato dopo la morte del genitore: "Dobbiamo essere pronti a difenderci ancora"

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di Sara Bessi

I primi otto donatori di plasma iperimmune, che potrà essere somministrato a malati di Covid-19, si sono già seduti sulle poltroncine del Centro di medicina trasfusionale del Santo Stefano. A reclutarli è stato Antonio Crocco, direttore della struttura di Medicina trasfusionale Prato-Pistoia, insieme alla sua equipe formata da medici ed infermieri. Sono stati loro a visitare e scegliere, nelle settimane scorse, i pazienti ammalati di coronavirus e poi guariti con doppio tampone negativo.

"Abbiamo individuato 45 pratesi adatti alla donazione del plasma iperimmune", spiega il dottor Crocco. "In queste persone è stato riscontrato un alto titolo anticorpale, cioé un livello di anticorpi IgG utile per curare chi ha contratto il coronavirus. Sono state tutte sottoposte a dosaggio per misurare la concentrazione di IgG, infine abbiamo scelto coloro che hanno un dosaggio adeguato secondo quanto previsto dal protocollo sperimentale". Sono stati in tanti coloro che si sono fatti avanti non appena hanno saputo della possibilità di contribuire nella lotta al coronavirus. "C’è stata una risposta bellissima - aggiunge Crocco - e sia i donatori che coloro che fino ad oggi non erano mai stati al Centro trasfusionale, hanno mostrato molta sensibilità: questo significa che i cittadini sono vicini a noi e l’azienda sanitaria si è mossa subito verso i cittadini in questo percorso". Una grande generosità che ha a che fare con il senso civico e con la voglia di mettere a disposizione quello che di buono si può trarre dalla sofferenza provocata dal virus: aiutare chi è ancora nella morsa della malattia. Come ha deciso di fare Giacomo Vannoni, infermiere del Santo Stefano, che si è ammalato pochi giorni dopo aver perso il babbo, il 13 marzo, morto per sospetto Covid, ma senza averne la certezza. Un lutto così doloroso che ai tempi del covid ha imposto delle ristrettezze anche nel celebrare il funerale. "I sintomi sono comparsi dopo quattro giorni dalla scomparsa di mio padre e per i successivi sette giorni ho avuto tosse e febbre", racconta Vannoni mentre è sdraiato sulla poltroncina per la plasmaferesi. "Ho trascorso a casa tutto il periodo della malattia. Se ho avuto paura del virus? Ho saputo di aver contratto il coronavirus solamente dopo il primo tampone del 26 marzo. Sono rimasto chiuso in casa per quaranta giorni, perché la negativizzazione stentava ad arrivare". Giacomo che da sempre è in prima linea in ospedale per curare i pazienti, per una volta si è trovato al di là della barricata. "Non mi sono reso molto conto di quanto succedeva in ospedale - dice - dove ho potuto riprendere servizio solo dopo che finalmente il 27 aprile ho avuto la risposta del secondo tampone negativo. E ora è giusto essere qui a donare il plasma: tre mesi fa siamo stati presi alla sprovvista dalla pandemia, ma adesso è importante preparare mezzi in più per difendersi nel caso arrivasse una seconda ondata di infezione e non temere sulla sicurezza del plasma".