REDAZIONE PRATO

Esplosione a Calenzano. C’era benzina nei tubi durante la manutenzione

A un mese esatto dalla tragedia emergono nuovi dettagli sulla dinamica del disastro. Gli operai stavano lavorando su alcune tubature nelle quali era rimasto del carburante. Ancora il verbale del sopralluogo non è stato trovato.

Le immagini dei tecnici. al lavoro nel. deposito di Eni. il 9 dicembre scorso

Le immagini dei tecnici. al lavoro nel. deposito di Eni. il 9 dicembre scorso

Il punto esatto da cui è scaturita l’esplosione del 9 dicembre 2024 nel deposito di carburanti Eni di Calenzano, che ha causato cinque morti e ferito 26 persone (di cui due sono ancora in gravi condizioni), è esattamente quello in cui una squadra di operai della manutenzione stava operando e dentro le condotte smontate potrebbe esserci rimasta della benzina. È quanto emerge dalle ultime ricostruzioni della procura di Prato a un mese esatto dal disastro.

Secondo gli accertamenti i manutentori quella mattina erano al lavoro su una linea di rifornimento - una serie di tubi che corrono sopra le corsie di carico - tecnicamente considerata dismessa, da anni. Invece la conduttura, in base a quanto risulta dai rilievi tecnici, avrebbe conservato residui di carburante o forse addirittura ne stava pompando ancora. Da lì si è generata la fuoriuscita di liquidi, mista a vapori infiammabili in atmosfera, che poi ha provocato il primo scoppio.

La procura di Prato, guidata dal procuratore Luca Tescaroli, sta compiendo una serie di riscontri incrociando le immagini delle telecamere del deposito, i documenti e le testimonianze. Si tratta di elementi che concorrono a delineare con maggiore nitidezza la dinamica della vicenda.

Secondo la ricostruzione a quell’ora c’erano almeno 4-5 autocisterne sotto la tettoia di carico. I camion erano in coda aspettando di fare il pieno di carburante, mentre una squadra di operai della ditta Sergen srl di Grumento Nova era impegnata a rimuovere alcune valvole e tronchetti sulla linea dismessa. I manutentori avrebbero svitato i bulloni di sicurezza di un tubo che avrebbe contenuto ancora carburante, che non era svuotato: questa operazione potrebbe aver innescato l’esplosione per il surriscaldamento provocato dai loro stessi attrezzi o strumenti utensili.

Il fascicolo d’indagine è aperto per i reati di omicidio colposo plurimo, crollo doloso di costruzioni o altri disastri e rimozione o omissione dolosa delle cautele contro gli infortuni sul lavoro. Le strade imboccate dagli inquirenti pratesi per fare chiarezza tengono anche in considerazione il fatto che venivano compiuti allo stesso tempo i lavori di manutenzione mentre continuavano le normali operazioni di carico delle autocisterne. Operazione che non sarebbe consentita secondo i piani di sicurezza.

Tre delle cinque vittime sono autisti di autobotti: Vincenzo Martinelli, Carmelo Corso (entrambi residenti a Prato), Davide Baronti. Gli altri morti sono i tecnici che stavano eseguendo i lavori di manutenzione per conto della Sergen: Gerardo Pepe e Fabio Cirielli. Quali erano le modalità stabilite per garantire la sicurezza durante queste operazioni?

Nelle settimane precedenti alla strage ci sarebbe stato un sopralluogo di responsabili di Eni con la ditta in appalto Sergen in vista di quei lavori, proprio per valutare questi aspetti. Di quell’incontro gli inquirenti cercano la documentazione che al momento non risulta trovata. Altre perquisizioni sono fatte due giorni fa a questo scopo.

Fra i destinatari delle perquisizioni il responsabile del deposito e il project manager incaricato da Eni di fare il sopralluogo insieme a Sergen prima dell’inizio dei lavori. C’è stato anche un ulteriore sopralluogo del procuratore Luca Tescaroli. I carabinieri di Firenze sono andati giovedì negli uffici dell’Eni e della Sergen alla ricerca dei documenti mancanti, e-mail, fotografie o il verbale del sopralluogo. La procura lavora in coordinamento continuo con sei consulenti, esperti in varie discipline, che hanno tempo fino alla fine di febbraio per depositare la relazione.