Prato, 20 marzo 2025 - “Stamattina i carabinieri mi hanno notificato l’atto in cui si dice che io insieme ad altri siamo parte lesa. E che ci sono nove indagati per l’esplosione al deposito Eni di Calenzano, avvenuta cento giorni fa. Una tragedia in cui hanno perso la vita cinque persone. Uno scoppio dal quale mi sono salvato per miracolo”. A parlare è Massimiliano Niccolai, autotrasportatore di 60 anni di Scandicci e da oltre venti anni nel settore del trasporto carburanti. Niccolai ha visto l’inferno di Calenzano. Ce l’ha dentro gli occhi, un incubo reale che torna e ritorna. Ce l’ha dentro le orecchie: lo scoppio gli ha lesionato i timpani. Poi ci sono le ferite che non vedi ma che bruciano, ancora, e tornare là con il pensiero, è come buttargli sopra il sale.

Sopravvissuto all’inferno di fuoco, in quei tragici secondi Niccolai ha perso amici e colleghi di una vita. Nella deflagrazione Niccolai ha visto a pochi metri di distanza Vincenzo Martinelli, 51 anni originario di Napoli, scomparire nel fuoco. “Non sono stati mesi facili quelli trascorsi – prosegue Niccolai – ho avuto una operazione e lo scoppio di Calenzano mi ha lesionato i due timpani. Sono stato chiamato in questi giorni per sottopormi ad un intervento”. La speranza di Niccolai è che il percorso della giustizia non si incagli e non si allunghi troppo “come nel caso della strage di Viareggio”.
Tra i sopravvissuti di Calenzano c’è Emiliano Braccini, il camionista di 51 anni rimasto gravemente ustionato. La moglie, Ilenia Pellegrini, preferisce non commentare le ultime novità. “Sono a trovare mio marito alla terapia intensiva, non ho niente da dire adesso”. Alla domanda sulle condizione di Braccini, però, una piccola luce di speranza, un sospiro di sollievo: “Sta meglio, leggermente meglio. Sappiamo che è una cosa molto lunga, adesso è così”. Hanno scelto il silenzio le famiglie delle cinque vittime della strage al deposito Eni. Cinque uomini, mariti, padri, strappati alla vita da un destino impietoso. La notizia dei nove indagati, il percorso giudiziario verso l’accertamento delle responsabilità, è una piccola luce in un cratere di dolore. Che resta lì, immutabile, acuto come il lacerarsi di una seta infinita. Le croci piantate nella strage al deposito Eni, gli uomini morti lavorando sono: Vincenzo Martinelli, 51 anni, Davide Baronti, 49 anni, Carmelo Corso, 57 anni, appena scesi dai loro camion quando la palla di fuoco li ha travolti; Gerardo Pepe, 45 anni, e Franco Cirelli, 50 anni, che lavoravano per un ditta esterna a Eni. La società ha confermato il proprio impegno al risarcimento dei parenti dalle vittime e, con la maggiore tempestità possibile consentita dai tempi dalle attività di perizia, dei danni civili sul territorio.
Martinelli era originario di Napoli e residente a Prato dal 1998. Tifosissimo del Napoli, era appassionato di cani e di caccia. Aveva due figlie, Martinelli, una di 17 anni e l’altra di 19 anni. Carmelo Corso, originario di Catania, abitava nel pratese, aveva ripreso da poco a fare quel lavoro, era autista della Rat — Raggruppamento Autotrasportatori Toscani — dopo aver fatto la guardia giurata proprio a Eni. Anche Baronti aveva scelto lo stesso mestiere, quello che purtroppo poi gli è costato la vita. Nato a Novara, è praticamente vissuto da sempre a Livorno, prima di trasferirsi con la famiglia a Bientina (Pisa), era autista della Mavet. Quel giorno fu inghiottito dall’inferno che lo ha strappato alla moglie e ai suo due bambini, di cui portava i nomi tatuati sulla pelle. Un’incisione d’amore. E infine Cirelli e Pepe, trasfertisti, arrivati da lontano per conto della società ‘Sergen’, la ditta con sede a Grumento Nova (Potenza) che opera nel settore della manutenzione degli impianti petroliferi. Pepe, di Sasso di Castalda (Basilicata), era nato in Germania, dove i suoi genitori erano emigrati. Ha lasciato la moglie e la figlioletta di 12 anni. Cirelli, anche lui morto nella strage, viveva a Cirigliano (Matera), un paese di trecento anime incastonato nella splendida collina, con la compagna e due figli piccoli.
(Ha collaborato Iacopo Nathan)