REDAZIONE PRATO

Fiordelli, il primo vescovo. Quell’addio vent’anni fa

Scrisse di Prato: "E’ stata per me, oltre che diocesi, la mia casa, la mia famiglia". I 38 anni alla guida della diocesi e la cittadinanza onoraria conferita dal Comune.

Il vescovo Pietro Fiordelli, scomparso il 23 dicembre del 2004

Il vescovo Pietro Fiordelli, scomparso il 23 dicembre del 2004

Il 23 dicembre di vent’anni fa, nel tripudio delle feste natalizie, ci lasciava monsignor Fiordelli, primo vescovo stanziale a Prato e il più giovane d’Italia: aveva appena 38 anni quando venne qua. Fu testimone e protagonista di una provincia che era cresciuta con lui, guidando per quasi 38 anni la nostra diocesi. "Sono nelle mani di Dio", aveva detto poco prima di lasciarci, ben sapendo le conseguenze di un insidioso tumore. Capimmo alla sua partenza che la sorte aveva riservato un ministro del culto di grande spessore, che aveva dato tutto se stesso a una città diventata per lui famiglia. "Al mio amatissimo popolo pratese - disse nell’abbandonare la diocesi per affidarla al suo successore - la testimonianza particolare di affetto per aver trovato in voi, sin dalla mia venuta nel lontano 17 ottobre 1954, tanta bontà e fede. Un pastore, come un genitore, ha dalla sua famiglia gioie, sofferenze, problemi, ansie e tanto amore. Così è stato anche per me. Il Papa mi mandò in una diocesi degna di amore. Prato è stata per me, oltre che la diocesi, il mio popolo, la mia casa, la mia famiglia. L’Amministrazione Comunale volle darmi un giorno la cittadinanza onoraria e fui grato. Ma io ancor prima mi sentivo pratese nel midollo dell’osso".

"Dei pratesi – aggiunse – ho sempre apprezzato la generosità, la più intrigante delle virtù, che si sia laici o cattolici. Prego ogni giorno Dio per questa mia amata Prato, invocando la protezione della Madonna, chiedendo due cose in particolare: che a Prato non manchi il lavoro e che i pratesi, tutti i pratesi, conservino il culto della famiglia e il tesoro della fede cristiana". Semplice e schietto, con quell’impeto, quell’essere uomo e prete d’azione, quel suo salire le scale di corsa, quella mancanza di orari per i pasti e per il riposo, con quella dolcezza nel porgere, con quell’eloquio a ritmi morbidi. "E dire che prima di arrivare qua a Prato - mi confessò - mi avevano commiserato, considerando questa una città di comunisti incalliti, dove il Vangelo più noto era quello secondo Togliatti". E Togliattigrad ovvero Prato dette a Fiordelli la misura di un grande affetto già dal suo arrivo. Mai vista tanta folla come quel 17 ottobre 1954, quando Fiordelli fece il suo ingresso in Duomo. Anche la statua di Mazzoni lì a due passi dalla cattedrale, la cui ieraticità era sembrata quasi una sfida al potere religioso, nel palmo destro allungato apparve quasi il tentativo di una stretta di mano alla Chiesa, in un tripudio festoso di piccioni che dalla Curia andavano a posarsi sull’anticlericale triumviro.

Roberto Baldi