Prato, 13 giugno 2023 – Ci sono due modi , nel cinema e più in generale nelle arti, per celebrare una città: rappresentarla oppure fare qualcosa di più complesso, come renderla un personaggio aggiunto. Francesco Nuti, che d’ambizione non è mai stato avaro, appartiene alla seconda schiera. Lo spiegò bene Maurizio Ponzi, il regista di "Madonna che silenzio c’è stasera", in un’intervista proprio a La Nazione: "Quando accettai di girare quel film, dopo aver letto quella sceneggiatura così graziosa e naif, la prima cosa che Francesco mi disse fu che avremmo dovuto visitare Prato insieme. Che sarebbe stato indispensabile. E aveva ragione: fu un viaggio fondamentale, in una città che era molto diversa da oggi e che non faceva solo da sfondo: quel film non poteva essere girato davvero da nessuna altra parte". Forse cantare Prato non era nemmeno l’aspirazione del giovane Nuti, che pure nacque a Firenze e a Prato arrivò dopo qualche anno, ma è stato il suo destino. Perché al contrario di tanti altri figli illustri di questa città, Cecco non ha mai cercato di accreditarsi come "qualcun altro". C’era lui, sullo schermo, e c’era la sua vita, che se fosse una cartolina potrebbe essere la scena dei biliardi al Castello dell’Imperatore ne "Il signor Quindicipalle".
Prato e Nuti, Nuti e Prato: essere Cecco da Narnali è stato molto di più di un mero dato anagrafico. E non solo perché il suo fuoco da artista si è nutrito della pratesità fin dall’inizio: il Buzzi, la rivista, i monologhi. Come poteva andare diversamente se il primo film si intitolava "Ad ovest di Paperino"? Ed è vero che a Paperino non fu girata nemmeno una scena, ma se porti una frazione della città nel titolo fin dal primo momento qualcosavorrà pur dire.
Surreale e cult, grazie anche a un’altra "mezza pratese" come Athina Cenci e a Alessandro Benvenuti. Come cult sarebbe stato l’anno dopo "Madonna che silenzio c’è stasera", con la scena dei telai che è emblema di una città che era e forse non è più. Quante immagini di Prato, in quel film, tante alla Campolmi... C’è una generazione per la quale quel film ha rappresentato tanto. Poi Nuti a Prato ha girato altre volte, da "Caruso Pascoski (di padre polacco)" nella allora Coop di piazza San Marco a "Il signor quindicipalle", ma quei due vertici restano inarrivabili. La città l’ha dipinta con l’affetto di un figlio e Prato l’ha ricambiato. Basti pensare alle tante occasioni degli ultimi anni in cui è stata celebrata la sua carriera: la fortunata rassegna ideata dal giornalista de "La Nazione" Federico Berti insieme al Comune, "Buon compleanno Francesco Nuti", che ha permesso di rivedere al cinema Terminale tutti i suoi film insieme a ospiti che hanno caratterizzato la sua intera vita artistica, come Giuliana De Sio, Edy Angelillo, Leonardo Pieraccioni, Giovanni Veronesi. Commovente fu il breve ma intenso incontro con Athina Cenci dopo tanti anni di lontananza. E solo pochi giorni fa il Comune, con il cinema Eden di Eros Ossani, aveva festeggiato il 68esimo compleanno di Nuti con la rassegna "Due chicche di Cecco". Lo stesso cinema Eden ospitò anche una mostra dei Pinocchi dipinti da Nuti, così come la biblioteca Lazzerini ha dedicato una intera giornata ai 40 anni di "Madonna che silenzio c’è stasera".
Se non ci fosse stato quel maledetto incidente del 3 settembre 2006, forse Nuti avrebbe raccontato un altro po’ di Prato. Con uno dei suoi film rimasti nel cassetto magari avrebbe trovato la chiave giusta per spiegare come è cambiata la città e come siamo cambiati noi. Forse nessun altro avrebbe avuto lo sguardo giusto per farlo. Di certo di quel film sentiamo e sentiremo per sempre la mancanza.