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Furbetti case popolari In 16 vanno a processo Ma la prescrizione è già dietro l’angolo

Chiusa l’udienza preliminare dopo 5 anni: in due hanno patteggiato. Per altri otto imputati il giudice dichiara il non luogo a procedere . Le posizioni irregolari sono state sanate dall’ente gestore degli alloggi.

Furbetti case popolari In 16 vanno a processo Ma la prescrizione è già dietro l’angolo

In sedici a processo per aver dichiarato il falso e ottenuto le case popolari senza averne diritto. Si è chiusa l’udienza preliminare sulla inchiesta che, nel 2019, alzò il velo sui metodi usati per acquisire i diritti ad avere le case popolari e che aveva portato a indagare decine e decine di persone. Adesso la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per 26 persone. Due hanno patteggiato in sede di udienza preliminare, per altre otto il giudice Leonardo Chesi ha dichiarato il "non luogo a procedere" mentre i restanti sedici sono stati rinviati a giudizio per false dichiarazioni alla pubblica amministrazione e per aver fatto ricorso a vantaggi economici riservati alle categorie protette. Il processo comincerà il 5 giugno di fronte al collegio dei giudici. Processo che parte già in salita in quanto la prescrizione è dietro l’angolo.

I fatti contestati nell’inchiesta risalgono a diversi anni fa (dal 2013 al 2019) e per arrivare a mettere un primo punto fermo ci sono voluti cinque anni, da quando gli indagati hanno ricevuto gli avvisi di garanzia. Difficile che il processo veda la fine prima della prescrizione.

Fra l’altro tutte le posizioni sono state sanate da parte dell’ente che gestisce le case popolari (ex Epp): chi non aveva diritto all’alloggio l’ha lasciato e a chi pagava un affitto troppo basso è stata adeguata la locazione.

"Quanto meno l’inchiesta è servita a mettere ordine in quello in cui la pubblica amministrazione non ce l’ha fatta a fare pulizia – ha detto in aula l’avvocato Alberto Rocca, che assisteva un imputato per il quale è stato dichiarato il non luogo a procedere – Anche in questo caso la magistratura penale ha avuto il ruolo di supplente".

In effetti fra i casi contestati, diversi erano al limite. Persone che non avevano dichiarato ruderi in quanto nessuno gli aveva detto di doverli inserire nella dichiarazione dei redditi. Altri che si erano fatti fare la compilazione direttamente dagli addetti dell’ente che, probabilmente, avevano commesso degli errori.

Secondo quanto venne ricostruito dalle indagini della guardia di finanza, alcuni degli assegnatari non avevano dichiarato patrimoni e immobili in modo da garantirsi il rinnovo del contratto. C’era chi aveva "tralasciato" di dichiarare che aveva tre appartamenti affittati in Puglia, chi invece era proprietario di un palazzo intero in Sicilia. Alcuni, invece, avevano omesso di specificare i patrimoni di mogli e mariti che comunque fanno cumulo per stilare la graduatoria. Altri ancora non avevano dichiarato di aver ricevuto, dopo la prima assegnazione, una eredità. Durante gli interrogatori in Procura in molti si sono difesi sostenendo di aver effettuato le autocertificazioni seguendo le indicazioni degli addetti. "Dissi che avevo ereditato un rudere, ma mi fu risposto che non contava", si è difeso qualcuno. L’inchiesta della guardia di finanza è partita da quella ormai famosa sul "tesoro" dei rom, le famiglie Ahmetovic e Halilovic, a cui sono stati sequestrati beni per due milioni e mezzo di euro nel 2019 perché ritenuti provento di attività illecite. Al momento dei sequestri venne accertato che la "matrona" della famiglia, Djula, e la figlia Patrizia vivevano negli alloggi del Comune che poi gli furono tolti. In pochi mesi i finanziari spulciarono le posizioni di 4.000 assegnatari di case popolari.

Laura Natoli