Professor Nigro, Università e politica hanno contraddistinto la sua vita. Da dove nascono queste passioni?
"Ero Studente della Facoltà di Economia. Seguivo le lezioni di storia economica di Federigo Melis, ne rimasi molto affascinato e in cuor mio decisi che lo studio di quei temi sarebbe stato il mio futuro. L’impegno politico mi ha coinvolto per una ventina di anni. Fu un impulso che debbo anzitutto alle lezioni di vita di mio padre, pedagogo di tolleranza e di spirito democratico. Alla fine degli anni ’60, iscritto al Partito Socialista ebbi la fortuna di frequentare alcuni intellettuali come Agnoletti o Francovich, ex partigiani provenienti dal Partito d’Azione che si riunivano nella sede della nota rivista ’Il Ponte’; più tardi, legato a molti amici, ho avuto rapporti con un altro socialista e maestro di vita, Armando Meoni, lo scrittore pratese che tanto ha dato alla nostra città".
L’incontro con Datini quando è avvenuto?
"Ho sempre saputo che la statua in piazza del comune era di un uomo importante. Pensi che io, nel 1955, ero in viale Piave con la mia classe di quinta elementare, salutavamo Einaudi e Gronchi, due presidenti della Repubblica che andavano a far qualcosa per il Datini. Erano venuti per inaugurare la celeberrima mostra sull’economia medievale organizzata da chi sarebbe divenuto il mio professore, Federigo Melis!".
E’ stato direttore scientifico della Fondazione Istituto Datini per 40 anni.
"L’Istituto è un fiore all’occhiello di Prato, centro studi che attrae molti scienziati da tutto il mondo provocando un positivo indotto economico e culturale. Ha diverse funzioni, la prima è quella di sostenere le ricerche di storia economica del Medioevo e dell’Età Moderna e aiutare giovani studiosi nelle loro ricerche. C’è poi quella non dichiarata ma cara ai nostri concittadini: promuovere l’immagine di Datini e, attraverso di lui Prato, la città che gli dette i natali. Lì ho versato gran parte del mio entusiasmo di uomo e di studioso".
È ritenuto un mentore di questa città, per i ruoli di assessore e vicesindaco, nella cultura e nel mondo accademico.
"Sono arrivato a Prato da Roma che avevo due anni: persone, luoghi, suoni e odori mi hanno aiutato e protetto, mi hanno visto crescere. Era la mia città, quella che ho imparato ad amare. Avrei voluto avere la penna di Armando Meoni per poterle scrivere, come lui, una dichiarazione di amore. Un amore che si potrebbe declinare in mille modi e che investe ogni aspetto di allora, le strade e i palazzi, le fumanti e rumorose ciminiere. Uomini e donne indaffarati, non sempre raffinati nell’eloquio ma pieni di intraprendenza e di pragmatico amore per il loro fare, per le loro aziende. Ciascuno coinvolto nel dare consenso a quel particolare modello produttivo che l’intraprendenza di tutti aveva creato. A ben pensarci tutto ciò mi dette stimoli per agire. Quando divenni assessore alla cultura, in un positivo clima di ottimismo, pensai che fosse utile creare strutture culturali capaci di coinvolgere i pratesi nelle cose a loro di più adatte. Detti incarico a Marco Mattei di recuperare l’area Campolmi e costruire il Museo del tessuto; rilanciai l’Archivio fotografico toscano e fondai la sua rivista. Credevo che Prato potesse crescere nella cultura; le sue fabbriche producevano stoffe e colori al servizio della moda, allora le arti figurative potevano avere un utile nesso; fondai il Cid, Centro di informazione per l’arte contemporanea. Poi arrivò Enrico Pecci che avrebbe donato alla città una struttura museale".
Enrico Pecci, il grande industriale.
"Personaggio unico, impegnato in settori e investimenti produttivi diversi. Nacque un sodalizio amicale; di lui mi piacevano concretezza e lungimiranza".
Che identità ha oggi Prato? Quali le potenzialità?
"La comunità locale, nel concetto degli economisti del Distretto, ha subito forti trasformazioni dovute ai significativi mutamenti dei sistemi economici e sociali. I pratesi si accorsero di una realtà a cui non erano avvezzi. I processi di immigrazione, quegli degli anni ’50 e ’60 dal Veneto e dal Sud, furono assorbiti e dettero slancio all’economia, quelli più recenti si sono inseriti in un contesto di maggiori difficoltà e minore propensione all’accoglienza. A queste difficoltà si aggiungono quelle dei gruppi dirigenti, dell’élite, che sembra attardarsi sulle questioni immanenti, prive di lungo respiro. Ciò detto non sono pessimista, l’animus loci della città saprà invertire la tendenza".
Sara Bessi