ROBERTO BALDI
Cronaca

"I ricchi scemi non mi sono mai piaciuti"

Orrico ha da poco compiuto 80 anni. Ed è sempre il solito: un simpatico, polemico istrione. "Mai data importanza ai soldi" .

di Roberto Baldi

"Scendo da Volpara per venire a trovare mia madre 97 anni, come faccio tutte le settimane. Prendiamo un caffè insieme".

Chi paga? lo provoco scherzosamente. "Solito pratese che vende la lira a un franco e venti. Io non ho mai dato importanza ai soldi. Con il primo stipendio mi regalai la Treccani".

Corrado Orrico ne ha compiuti ottanta ad aprile. Quando parla è ancora goduria. Lui lo sa col sussiego del personaggio scomodo, a costo di rompere rapporti importanti come quello con Pellegrini presidente dell’Inter. Se ne andò senza chiedere una lira di buonuscita. Lo ami o lo detesti. Ostentatamente colto, possiede 10.000 volumi, legge Joyce, Dos Passos, filosofi. "Preferisco questi ultimi, che spiegano il romanzo eterno della vita, rispetto ai romanzieri di routine", mi dice. Andava agli allenamenti con in tasca i racconti di Bukowski. Anticonformista birra donne e follia.

Per catturarlo nella tenuta di Volpara sopra San Carlo in Massa, dove insieme ad Andrea Toccafondi e Riccardo Santini andammo a fargli firmare il contratto, ti inerpichi attraverso le pendici di San Carlo, affrontando una selva dolce di faggi per arrivare a lui, che ti accoglie braccia larghe, vino di Candia, lardo di Colonnata, profumo di cose semplici e schiette.

Come hai passato la quarantena anticoronavirus?

"Non ho cambiato le abitudini di tutta una vita: niente assembramenti, contatto con la natura, alimentazione sana".

E’ la dabbenaggine dei presidenti o la nostalgia di Volpara ad averti indotto ad abbandoni frequenti?

"Trascorsi gli ottanta anni - mi dice con quel suo vocione da orco buono con cui apostrofava il giocatore un po’ fighetto che lui chiamava giovanotto - non so dirti se sono stato coraggioso o un suscettibile che si allontanava quando c’era puzzo di bruciato, quando i presidenti tentavano di importi i giocatori o alle sei del mattino chiedevano spiegazioni tecniche. Non sono mai stato la cagnetta che porta il giornale in bocca".

Sempre coerente con le proprie idee?

"Sempre. Fui chiamato all’Inter come cultore della zona a sostituire Trapattoni, con stipendio da operaio specializzato, per sentirmi in sintonia col partito di sinistra che ho sempre votato. In albergo con l’Inter, Prisco mi trovò in poltrona a leggere il Manifesto: ’L’allenatore dell’Inter non può leggere il Manifesto’, mi disse. E io: ’Cosa dovrei fare ? Iscrivermi alla P2 ?’. Continuai a professare il mio credo comunista, masticando il mezzo toscano".

Con Toccafondi annullasti il contratto perché ritrovasti al raduno il fratello di Bobo, Massimiliano Vieri, che tu avevi depennato.

"Toccafondi me lo ripropose perché doveva molto alla famiglia Vieri. Massimiliano era un bravo ragazzo, ma i bravi ragazzi vanno bene per farli sposare alle figlie: i più stravaganti, anche con pochi principi, sono quasi sempre quelli con maggior talento. Con tutto ciò, Andrea Toccafondi, che mi volle nella doppia esperienza a Prato del 1986-87 e 2008-2009, ha tutta la mia stima: avrebbe potuto essere un manager ideale per squadre di rango".

Cosa manca al Prato per essere una grande società?

"La volontà di spendere. A Toccafondi non levi un duino di tasca nemmeno a far querciola. Mi andava bene: non mi garbano i ricchi scemi".

Saluto Corrado precettore, istrione, filosofo, simpatico rompipalle, libero pensatore senza diaframmi fra mente e concetto. Di Orrico ce n’è uno, tutti gli altri son nessuno.