
Il carrello a motore che avrebbe innescato l’esplosione Nella tragedia di Calenzano sono morte cinque persone
C’è il fascicolo principale, che adesso attende la prossima mossa del gip di Prato, ovvero la convocazione dell’incidente probatorio richiesto dalla procura. Ma l’inchiesta sull’esplosione al deposito Eni di Calenzano è anche un secondo procedimento che vuole far luce sulle ripercussioni ambientali dopo esplosioni e incendi. Non risultano comunicazioni di iscrizioni sul registro degli indagati, ma l’indagine è aperta. La procura laniera, competente sul territorio, vuole capire se in seguito al tragico evento del 9 dicembre scorso ci sono state altre conseguenze, oltre alle cinque morti. ai feriti, e ai danni materiali. Da via Erbosa si è alzata una colonna di fumo nerissima, visibile fino a chilometri di distanza. Cosa conteneva? Di fianco al deposito scorre il Tomarello, nel quale sono confluiti i liquidi, in particolare scaturiti dall’attività di spegnimento. Ci sono stati danni? Una risposta degli inquirenti potrebbe arrivare a breve. Ma la precedenza, sinora, il procuratore capo Luca Tescaroli l’ha data agli accertamenti tecnici affidati a un pool di consulenti per risalire alle cause dell’esplosione killer.
La cartella post incidente. Particolare attenzione degli investigatori è stata posta su una cartella di condivisione file tra Eni e Sergen (l’impresa a cui erano stati appaltati i lavori per la riconversione della linea di distribuzione da benzina a diesel Hvo) comparsa nei computer delle due aziende sotto indagine il 31 gennaio scorso, quasi due mesi dopo la tragedia. L’acquisizione da parte della procura di questi file è avvenuta nelle perquisizioni avvenute dal 3 al 6 febbraio. In quelle precedenti, invece, questa cartella non sarebbe stata presente. E’ uno “schema di flusso“ riguardante le baie interessate dall’incidente, una documentazione che, secondo la procura, non avrebbe ragione di esistere a valle di un incidente che ha fermato ogni attività nel sito e che appare, sempre secondo i pm Tescaroli e Petrocchi, "proiettata a ostacolare l’individuazione di responsabilità da parte delle figure professionali di Eni".
Il lavoro a freddo. Ma nelle negligenze che vengono contestate ai nove indagati, c’è anche la valutazione errata della tipologia di lavorazione programmata in via Erbosa a deposito aperto ai cisternisti. Classificando come “a freddo“ l’intervento della ditta Sergen sono stati evitati una serie di accorgimenti previsti invece da un inquadramento in una lavorazione complessa “a caldo“. Si trattava di una lavorazione “a caldo“ per l’utilizzo, da parte degli operai Sergen, del cestello elevatore, dotato di un motore endotermico. E quando per 33 secondi, le flange svitate per errore hanno fatto fuoriuscire la nube di benzina, quel motore, nella sua parte calda, avrebbe fatto da innesco.