ROBERTO BALDI
Cronaca

Il mecenate visionario che annusava i venti "A 16 anni guadagnai il mio primo milione"

Sabato 11 giugno Giuliano Gori festeggerà il 40° anniversario dell’apertura al pubblico della Fattoria di Celle. La sua storia fantastica

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Prato, 5 giugno 2022 – Sabato 11 giugno, quarantesimo anniversario dell’apertura di villa Celle al pubblico, Giuliano Gori incontrerà gli amici di sempre per un revival nel gioiello seicentesco incastonato sulle colline fra Prato e Pistoia che ospita all’aria aperta un’esposizione di arte ambientale creata sul posto e per il posto, con l’illustrazione di un libro di poesie di Giuseppe Conte perché lavoro e arte, nell’ottica del mecenate fra i più noti in Italia, furono sempre a braccetto. Dal viale di accesso alla fattoria, fino all’ultima svolta della passeggiata nel parco, è tutto un succedersi di contrasti di materia, forma e colore, di cortocircuiti visivi in un incedere di esperienze estetiche. Quaranta ettari di arte contemporanea e poi, a perdita d’occhio, colline coltivate a ulivo e vite, incorniciate da boschi di lecci. Una contaminazione che rende unico il paesaggio.

E’ il buen retiro di Giuliano Gori, conquistato fin dai tempi in cui il giovane commerciante di tessuti, oggi ultranovantenne, entrò in casa del fornitore Diego Fanciullacci, camice imbrattato di colori perché anche pittore, iniziando a fargli domande non sulle stoffe, ma sui quadri. Fu una folgorazione che portò Giuliano col tempo a diventare il padre nobile di una Prato che non si limitava al tessuto, ma riusciva ad alzare lo sguardo verso mète artistiche prestigiose, viaggi e conferenze nelle università italiane e nei musei di tutto il mondo, tra cui il Louvre nel 2009. E’ qui che Giuliano Gori trascorre le sue giornate di appagato conservatore ormai del capitale artistico creato. Accanto alle opere di villa Celle con le 80 installazioni di artisti contemporanei sparse nel parco, Giuliano ne ha fatte ottenere di memorabili alle varie città, a cominciare dal Moore di piazza San Marco, ormai un simbolo di Prato, la scultura in bronzo sotto a Palazzo Pretorio, i 21 gessi e i 43 disegni di Lipchitz fondatore del linguaggio cubista nella scultura, frutto tutte di intensi rapporti umani e artistici, in contemporanea allo sviluppo della Gori Tessuti nata alla fine degli anni ‘40 in un magazzino del centro di Prato, per poi passare a quello più grande di via IV novembre e infine alla costruzione del nuovo stabile a Calenzano, promuovendo la costituzione del Museo Pecci. "Siamo pratesi dal 1400", mi diceva in un recente colloquio a Celle in un trionfo di verde, di ulivi, di pace e di luce, nel degradare della collina, dove arte e natura interagiscono in modo armonico. "I miei figli e alcuni miei nipoti abitano ancora nel centro storico di Prato, città creativa e comunicativa. Lavorare il tessuto significa fantasia e premonizione, cercando di capire quello che succederà fra due anni, come quando si guarda un Francis Bacon pittore irlandese. Imparai a 16 anni ad annusare i venti, quando venne da noi il direttore generale dell’Unrra tessile, (la United Nations Relief and Rehabilitation Administration, nata per assistere i paesi danneggiati dalla guerra mondiale) e chiese a mio padre Vitaliano 50.000 scatole di cartone per trasportare le coperte che si producono a Prato. Mio padre rispose che non era possibile e io il giorno cercai di nascosto questo signore. Riuscii a trovargli quel cartone dal Fiaschi, uno che aveva una tipografia con un magazzino pieno di scarti di cartone. Guadagnai un milione di vecchie lire".

L’arte anche come rapporto di amicizia, condiviso dalla moglie Pina, allora in vita e al cui ricordo gli si annacquano gli occhi. "Siamo nati sposati - mi dice Giuliano - Insieme fin da giovanissimi. Era limpida, intelligente, accogliente. Un episodio per tutti: a mezzanotte di tanti anni fa mi trovai a rispondere in pigiama al citofono. Giù c’era Renato Guttuso: ’Ma che ci fai? Qui si dorme’. E lui: ’Su apri’. Pina si alzò e mi disse: ’Ho bell’e capito’. E preparò un piatto di spaghetti al pomodoro". ’Per quelli che volano’ è scritto sulla parete della Fattoria di Celle che guarda una signorile villa ottocentesca. E alzando gli occhi, appare come un miraggio una panchina verde sul tetto. È l’opera di Luigi Mainolfi del 2011-2012 che ricorda Pina, un arcobaleno posato sui campi del vivere per misurare i progressi di un visionario uomo del fare.