
Nuovi documenti acquisiti nella causa da inviare al postulatore a Roma. Il rapporto con il vescovo Fiordelli e il caso del matrimonio dei concubini.
Prato non soffre di "provinciomania", ma crede alla propria autonomia, per il tabaccaio Renzo Buricchi (1913-1983) di cui è in corso il processo di beatificazione. Nel numero 4 del 1958 ‘La voce della Verna’, periodico dei francescani del santuario, aveva pubblicato un articolo a firma di ‘Frate Leone dalla cella’ sulla realtà di Prato. Buricchi, che aveva avviato una bella amicizia con i frati tanto da essere ospitato con suoi interventi sulla rivista, non ne condivise il contenuto, volto a dipingere la città come luogo che soffre di "carenze psichiche" e come "terra di missione" in senso negativo, e ne scrisse al padre superiore del santuario, probabilmente padre Girolamo Buratti. Anche questa lettera è stata raccolta dal postulatore della causa di beatificazione don Alessandro Andreini. Buricchi, cattolico con tessera del Pci, era guardato con prudenza se non con diffidenza dal vescovo di Prato Pietro Fiordelli. Buricchi nella lettera, con delicatezza ma con franchezza, prende le distanze dalle sue affermazioni su un matrimonio civile celebratosi nella città. "Che Prato sia la Capitale dei cenci, è perfettamente vero; – scrive Buricchi - non in tono acre, ma fattivo e dinamico. Che Prato abbia gioito per avere avuto una Sua diocesi è vero: non è vero che Prato sia malato di provinciomania, rivendica un diritto che gli spetta per non essere sopraffatto e incorporato a Firenze, i pratesi tengono al loro nome e loro cenci, più che a essere chiamati ‘fiorentini’". "Venne il Vescovo – continua Buricchi - e fu trionfalmente accolto. E io replico, sinceramente da tutta la città, senza secondi fini; l’articolista dice che Monsignor Fiordelli, varcando il confine sapeva di venire ‘in terra di missione’, io aggiungo: tutto il mondo è terra di missioni. Però i missionari non sono tutti uguali; se, ammette l’articolista, a Prato non mancano gli elementi religiosi, vuol dire che la missione in Prato non deve essere elementare, ma santa e sapiente, in modo da coordinare il buono e travolgere il cattivo!" L’articolista aveva contestato in Prato edonismo, liberticismo, potenza dei mezzi. E parte l’affondo contro l’articolista anonimo, qualificato come "un tossicomane donchisciottesco, al quale non può bastare la carità, ma vi è bisogno di una grande e profonda pietà, per questo pazzoide infedele e cieco". In quanto ai matrimoni "è doloroso e Lei lo sa quanto io ne soffra, ma non sono i libelli che li diminuiscono, solo una maggiore fede potrà ridurre sempre più questa esigua fazione di ateizzanti". L’articolo sui "cenci" di Prato era con ogni probabilità stato scritto per polemizzare con la causa civile che aveva visto il 1 marzo 1958 mons. Fiordelli condannato (sarebbe stato poi assolto poi in appello con sentenza il 25 ottobre dello stesso anno). Buricchi legge più in profondità i fatti e questo darà fastidio, come sembra, a Fiordelli, al quale tuttavia il tabaccaio obbedirà. Nell’inverno del ‘58 Renzo scrive un’altra lettera in cui accenna a qualcosa che gli è accaduto e che "mi ha consigliato prendermi tre anni di riposo". Probabilmente è un "divieto" di Fiordelli, ma Renzo guarda avanti e pensa al nuovo Papa, Giovanni XXIII, "cosciente di questo nostro tempo". Nei primi mesi di quest’anno dovrebbero essere portate a termine le ricerche documentali e mandate dal postulatore a Roma, al dicastero per le cause dei santi. Michele Brancale