MARIA LARDARA
Cronaca

Il Terminale diventa di proprietà. Acquistato dalla Casa del cinema

L’operazione anti-sfratto possibile grazie al mutuo ventennale di Banca Etica. E ora parte il crowfounding

L’operazione anti-sfratto possibile grazie al mutuo ventennale di Banca Etica. E ora parte il crowfounding

L’operazione anti-sfratto possibile grazie al mutuo ventennale di Banca Etica. E ora parte il crowfounding

Avevano una spada di Damocle sulla testa: un possibile sfratto da un giorno all’altro e addio grande schermo. E invece i soci della cooperativa Casa del cinema hanno deciso di viaggiare in direzione ostinata e contraria, fino all’ultimo atto messo nero su bianco il 28 gennaio, di fronte all’immobiliare Refincoop di Reggio Emilia: l’acquisto della sede di via Carbonaia per un investimento pari a 400mila euro, l’unico modo per salvare un pezzo di storia della città come il cinema Terminale, quaranta candeline spente a settembre.

Una storia di resistenza culturale a lieto fine, quella di uno spazio che dopo varie vicissitudini torna a essere proprietà dei pratesi anche se non sono tutte rose e fiori: la Casa del cinema si trova costretta a raschiare il barile dopo che ha dovuto accendere un mutuo ventennale da 280mila euro e anticipato una spesa di 120mila euro.

Per questo ha deciso di lanciare la campagna di crowdfunding con un titolo che, parafrasando Sorrentino, suona molto cinematografico: "La grande scommessa" sulla piattaforma ‘Produzioni dal basso’ servirà a raccogliere in tre mesi una cifra minima di 10mila euro con possibilità di donare da 10 a mille euro (vari premi abbinati: informazioni sul sito del Terminale dalla settimana prossima).

"La nostra è un’iniziativa in controtendenza quando tante sale cinematografiche chiudono in altre città – fa notare Luigi Rivieri, presidente della Casa del cinema – Con questa operazione mettiamo in sicurezza un cinema storico e ciò che rappresenta per la città. Un impegno importante per una piccola realtà come la nostra, un traguardo che si concretizza grazie al sostegno di Banca Etica, di cui siamo soci, e di Arci che ha fondato la nostra cooperativa. Abbiamo vissuto momenti cruciali come quando nel 2013 il cinema si convertì al digitale e ora andiamo verso nuove sfide come l’efficientamento energetico: vorremmo installare pompe scambia calore e pannelli fotovoltaici, nuovi investimenti da sostenere anche con la campagna crowdfunding". Delicate le trattative seguite dagli avvocati Simone Barni e Veruska Giovannini dopo che l’affitto era scaduto. La proprietà emiliana avrebbe voluto vendere anche l’ex circolo Rossi e i locali storici che sono ancora nel cuore dei militanti di sinistra: la vecchia sede del Pci e quella dei Ds, cioè tutto il blocco di via Frascati che non è rientrato nell’acquisto.

Passano dunque alla proprietà della Casa del Cinema la sala cinematografica, il cortile interno e gli spazi della scuola Anna Magnani. Una storia che affonda le radici nel dopoguerra. Dove oggi c’è un grande schermo prima c’era la vecchia ‘balera’ dove tante generazioni di pratesi hanno ballato. Poi un nucleo di soci del circolo Rossi e di dirigenti Arci fondò il ‘Gruppoaperto’ trasformando la balera in un cinema. Correva il 1984. Poi la fine del Pci, la vendita dell’immobile a una cooperativa emiliana: il circolo chiude.

Dal 1995 si alternano proprietà diverse, resiste il cinema e nel 2011 nasce la coop Casa del cinema di Prato. I numeri intanto sorridono: il bilancio 2024 non ancora definito registra un leggero utile, con il 10% di biglietti in più staccati rispetto al 2023 grazie anche a collaborazioni come Cinefilante che in questi primi mesi del 2025 ha portato una media di 112 spettatori grandi e piccini ogni domenica mattina. E poi il Mabuse Cineclub e l’università del tempo libero. Un dinamismo che ha convinto Banca Etica ad accordare un prestito ventennale. "Abbiamo valutato l’impatto positivo in termini di ricadute sociali e culturali – fa notare Tommaso Carli, direttore della filiale fiorentina di Banca Etica – solitamente dare un finanziamento a vent’anni non è uno standard".

Maria Lardara