Il tessile riciclato vuole certificarsi "Basta farci stritolare dai brand"

Astri e Pin firmano un accordo per sviluppare attività di ricerca e formazione che garantiscano l’unicità dei procedimenti di economia circolare. "Così ribalteremo i rapporti di forza contrattuali"

Le richieste dei brand della moda sul fronte delle certificazioni per assicurare processi produttivi completamente all’insegna del green e dell’economia circolare stanno iniziando a rappresentare un costo pesante a livello economico a per le pmi del distretto. La frammentazione produttiva che caratterizza il tessile innesca infatti un meccanismo penalizzante per il settore, visto che la maggior parte delle certificazioni è pensata per grandi aziende, con ciclo completo. Finisce così, giusto per fare un esempio, che i lanifici si ritrovino a dovere certificare i processi produttivi anche di alcuni terzisti che da soli non sono in grado di sostenere quei costi. Per ribaltare questa situazione e iniziare ad avere un differente potere contrattuale con le grandi firme della moda, Astri (l’associazione del tessile riciclato) e il Pin hanno firmato un accordo per "sviluppare attività di ricerca e di formazione applicate alla filiera tessile del riciclo".

Di fatto a Prato c’è un know how nel riciclo e nel completamento dei processi di economia circolare che è spesso unico a livello mondiale. Ma mancano i dati che lo certifichino. Il polo universitario non si può sostituire agli enti certificatori, però può produrre una serie di dati, analisi e garanzie produttive, la cui affidabilità viene ampliata dal fatto che si parla di un soggetto pubblico. Una volta entrate in possesso di questi dati, le pmi legate ad Astri ritengono di potere ribaltare i poteri contrattuali con i brand e iniziare a dettare le regole del gioco. "A Prato noi facciamo molto ma raccontiamo troppo poco dell’elevata qualità del lavoro svolto", spiega il presidente di Astri, Fabrizio Tesi. "E’ arrivato il momento di fare conoscere al mondo le nostre virtù ambientali. E per farlo abbiamo bisogno del Pin, producendo così dati certificati validi per il mondo intero. Per fare un esempio, il riciclo può essere di tre tipi: noi a Prato portiamo avanti quello meccanico che ha l’impatto più basso rispetto agli altri". Ma come fare a essere sicuri che i brand della moda accetteranno le ‘certificazioni made in Prato’ e non chiederanno ugualmente quelle riconosciute a livello internazionale? A spiegare la strategia di Astri è Roberto De Matteis, componente del direttivo, nonché rappresentante dell’azienda Pontetorto. "I grandi marchi hanno una fragilità: la comunicazione", spiega. "Se noi facciamo qualcosa di scientifico, allora diventerà dura per loro non accettarlo. Se noi abbiamo un’analisi dettagliata dei processi produttivi e dei vantaggi legati all’ambiente, allora potremo mettere i brand in grande difficoltà. Oggi invece siamo noi a inseguire e a pagare i costi, tra l’altro con certificazioni che spesso cambiano da marchio a marchio". Il Pin metterà a disposizione dell’accordo tre laboratori: Arco con la sua unità di innovazione circolare e sostenibilità, Liroman, cioè l’innovazione e l’applicazione della robotica al monitoraggio degli ambienti naturali, di vita e di lavoro, e Di40m che sviluppa ricerca e formazione sui temi dell’economia circolare in prospettive economiche, tecniche, su materiali e processi produttivi. "Vogliamo riportare l’attenzione sul processo produttivo, nell’ambito di un concetto di filiera", aggiunge Daniela Toccafondi, presidente del Pin. "Se ho una collaborazione costante con un terzista allora le certificazioni ne devono tenere di conto e non devo essere costretto a certificare più volte quell’azienda. Il Pin è il luogo ideale per avviare questo percorso e sostenere le imprese del distretto a stare sui mercati mondiali".

Stefano De Biase