
Il nipote di Mario Nanni porta lo stesso nome e cognome (sotto nella foto)
PRATO
Nella rete nazifascista di quella ‘caccia all’uomo’ che attraversò la città in lungo e largo nei giorni 7 e 8 marzo del ‘44 cadde anche Mario Nanni. Penultimo di otto figli, nato a Migliana, lavorava come operaio allo stabilimento Sbracia a Vaiano e quando fu catturato aveva diciotto anni. Stava rientrando a casa da Firenze dove era stato in visita a dei parenti. In sella a una bicicletta, fu fermato nei pressi del Fabbricone. I familiari lo cercarono tanto, poi seppero che era stato portato in treno verso la Germania. Prima a Mauthausen, poi trasferito ad Ebensee e, infine di nuovo a Mauthausen. Trascorse mesi assieme a Roberto Castellani, l’ex deportato diventato la testimonianza appassionata della tragedia della deportazione. Nanni morì di tubercolosi nei giorni della liberazione del campo da parte degli americani. La sua famiglia, nel 2011, è riuscita a farne rimpatriare le spoglie. Ce lo racconta il nipote che porta lo stesso nome e cognome.
Nanni, come siete riusciti a dare una sepoltura a suo zio?
"Da più di trent’anni la mia famiglia sapeva che lo zio era sepolto nel cimitero militare italiano di Mauthausen. Sulla croce della tomba avevamo collocato una sua foto e ci siamo andati più volte, ma il nostro desiderio era sempre stato quello del rimpatrio. Nel 2011, da una lettura casuale dei giornali venimmo a sapere che un cittadino di Verona, Roberto Zamboni, da anni era impegnato nella ricerca dei luoghi di sepoltura dei prigionieri e che con l’aiuto di alcuni parlamentari era riuscito a fare modificare una legge che dava la possibilità concreta di un ritorno a casa. Da lì parti tutto l’iter per il rimpatrio".
Al suo rientro fu allestita una camera ardente nella sede della Provincia di Prato e tanti gli resero omaggio.
"Fu un grande abbraccio. Ben cinquecento persone vennero alla camera ardente. Fu una grande emozione. C’erano tutte le istituzioni. A Migliana ci fu una cerimonia religiosa, venne anche una delegazione da Ebensee, c’erano tutti i sindaci della provincia di Prato, il vescovo. Ora la sua tomba è nel cimitero di Migliana. Gli è stata dedicata un’opera dello scultore Collina".
Quando lei è nato, suo zio era morto da circa un anno. Portare il suo stesso nome, che significato ha dato alla sua vita?
"Per mio padre, dopo la tragica morte del fratello, fu naturale darmi il suo nome. Per me è sempre stato un orgoglio chiamarmi Mario Nanni. Questo orgoglio l’ho condiviso con tutti i familiari. Eravamo tanti: nonni, zii, cugini, siamo passati da molto dolore e molti sacrifici, ma siano sempre stati uniti. L’impegno a fare tornare mio zio a casa è stato corale".
Cosa vi ha sorretto in tutti quegli anni?
"Tanta determinazione, un nostro impegno morale. A sostenerci la provincia di Prato, il comune di Cantagallo, il Museo della deportazione e l’Aned".
Ora, come mantenete la memoria del sacrificio di suo zio?
"Mio nipote Lorenzo all’esame di terza media ha portato una tesina che ricostruisce la storia dello zio. Sta frequentando il liceo Copernico e ha partecipato ad una visita alla Risiera di San Sabba a Trieste. La Risiera è un monumento nazionale di quello che fu un campo di detenzione e polizia nazista a Trieste. Vedere Lorenzo così attento e sensibile dà tanta speranza al futuro. Con i suoi genitori è stato in Germania, in Ungheria ha visitato i campi di concentramento. Ha voluto sapere".
Marilena Chiti