
Marcello Martini era una giovane staffetta partigiana quando fu catturato. Ha raccolto gli anni dell’orrore in un libro. E’ morto nel 2019.
"Io stavo studiando la grammatica francese, quando improvvisamente, la porta d’ingresso proprio a me antistante si spalancò e, prima ancora di rendermi conto di quanto stava accadendo, mi trovai una pistola puntata in faccia". A raccontarlo è Marcello Martini nel libro da lui scritto e pubblicato nel 2007 "Un adolescente in lager. Ciò che gli occhi tuoi hanno visto". E’ morto nel 2019. Aveva quattordici anni nel giugno 1944 quando fu arrestato nella casa di Montemurlo dove era sfollata la sua famiglia. Era figlio di Mario che, l’8 settembre 1943, col grado di maggiore, al comando di un battaglione di reclute a san Piero a Ponti, fu arrestato dai tedeschi, ma riuscì a fuggire assieme ai suoi uomini e aderì alla lotta partigiana. Per il ragazzino Marcello con l’esempio del padre, fu per lui naturale diventare staffetta partigiana, raccogliendo i messaggi della radio clandestina Co.Ra di Firenze e quelli di Radio Londra trasmessi dalla BBC.
Marcello dopo l’arresto fu condotto a Firenze, a Villa Trieste, in via Bolognese, dove la milizia fascista interrogava e torturava i prigionieri, poi al carcere Le Murate. Da lì trasferito al campo di smistamento di Fossoli , portato a Mauthausen come deportato politico e nei sottocampi di Wiener Neustadt e Hinterbruhlitare . Dopo lo sgombero del sotto-campo e l’eliminazione dei deportati infermi, fu nuovamente condotto a Mauthausen in una drammatica marcia della morte. "Camminavo come un giocattolo a batteria in attesa del completo esaurirsi della pila".
Fu liberato il 5 maggio 1945 dagli americani. Sono tante le pagine del libro nelle quali Martini ha ripercorso la sua estenuante lotta per la sopravvivenza, condividendo le sorti di altri deportati. Giornate di dolore, senza mai chiedersi cosa sarebbe potuto accadere il giorno dopo. "Quando ero in lager – scrive Marcello – non pensavo alla mia famiglia, non li avevo dimenticati, ma la mia famiglia era una realtà irreale, una cosa persa nella nebbia"
Il ritorno a casa non fu facile e gli creò molti tormenti. "Perché, se una persona rimane al buio per molto tempo, non appena rivede la luce del sole, ne è talmente abbagliata da non riuscire a distinguere più nulla. Fui abbagliato da tutto quell’amore che veniva spontaneo dai miei cari, che mi elargivano a piene mani e che mi lasciava stordito e confuso". Il rientro è definito "la difficile normalità".
Nessuno sembrava poter comprendere l’orrore che era passato davanti ai suoi occhi. Martini riesce, comunque, a studiare e laurearsi in chimica. "Solo negli anni "Ottanta – scrive - con l’aiuto di ex deportati e studiosi amici, dagli angoli della memoria, ciò che ho vissuto in lager è organicamente riaffiorato, si è strutturato in un racconto, e ora, finalmente è diventato scrittura, e rimarrà dopo di me". Per lasciare la sua testimonianza, Martini tornò a Mauthausen, si recò nelle scuole e partecipò con l’associazione ex deportati ai viaggi organizzati dalla Regione ai campi di sterminio con il Treno della Memoria.
Marilena Chiti