Maristella Carbonin
Cronaca

L’incendio al poligono, 5 mesi dopo. Natale senza il babbo: “Eravamo tanti a tavola. Io guardavo quel posto vuoto...”

Alessio Lascialfari fu una delle due vittime del rogo a Galceti. La figlia Erika: “Calenzano ha riaperto un dolore che non passa. Tutto questo silenzio non aiuta, ma abbiamo fiducia nel lavoro della Procura”

Prato, 29 dicembre 2024 – Il 26 luglio, nel rogo terribile scoppiato al poligono di Galceti, hanno perso la vita Gabriele Paoli, 67 anni, direttore di tiro esperto, e Alessio Lascialfari, 65, appassionato di tiro dinamico che quel pomeriggio era andato al poligono per passare un pomeriggio con gli amici. Un uomo di 46 anni, un istruttore, aveva riportato ustioni sul 35% del corpo, ed era stato portato al centro grandi ustionati di Cisanello per poi essere trasferito successivamente al Santo Stefano. La Procura, che aprì un fascicolo con le ipotesi di reato di omicidio colposo e incendio, ha affidato le indagini ai carabinieri. Sulle indagini è stato mantenuto fino ad ora il più stretto riserbo ma ci sarebbero diverse persone iscritte sul registro degli indagati. Erika Lascialfari, 31 anni, ricorda a cinque mesi dalla tragedia il babbo Alessio, che ha lasciato la moglie Nicoletta e il fratello Massimo. Alessio Lascialfari era andato in pensione da poco, da tre anni. Lavorava alle ex Officine Galileo di Firenze, oggi Leonardo spa. Era appassionato di tiro, nello specifico quello dinamico, che praticava a Calenzano.

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Erika Lascialfari il giorno della laurea insieme al babbo Alessio

Erika, il 26 dicembre sono stati cinque mesi senza il suo babbo, morto nel rogo del poligono.

“Sì. In questi giorni mesi il dolore è stato continuo, straziante. Sicuramente tutto questo silenzio non aiuta: a cinque mesi dall’incendio non sappiamo cos’è successo, se si può ipotizzare qualche responsabilità. Ma siamo certi che la procura stia indagando nel migliore dei modi per poterci poi dare le risposte che aspettiamo...”.

Qual è l’ultimo ricordo che ha del suo babbo?

“L’ho visto la mattina di quel maledetto venerdì. L’ho visto andare via da casa mia a mezzogiorno e mezzo. Avevo la revisione della caldaia, era passato a darmi una mano. ‘Ci vediamo domenica’, ci siamo detti. Quella domenica non è mai arrivata”.

Chi vi aveva avvertito venerdì?

“Nessuno. È stata la mamma a collegare la cosa quando ha sentito la notizia dell’incendio. Il babbo non rispondeva al telefono. E allora ho detto: andiamo lì. Quando siamo arrivati abbiamo visto l’auto nel parcheggio, sapevamo che il ferito era stato portato via in ambulanza. Parlavano di due dispersi. Siamo state lì diverse ore, dalle 6 a mezzanotte, quando è stato ritrovato il babbo ed è stato portato fuori nella bara. Quelle ore interminabili nell’angoscia non le scorderemo mai”.

Avete sentito la famiglia dell’uomo ferito in questi mesi?

“Il babbo lo conosceva. Ci siamo sentiti quando stava un po’ meglio. Ma non c’era nulla che in quei giorni potesse lenire il dolore. Non doveva andarsene, il mio babbo. Era in pensione da tre anni, stava bene, era felice della pensione. Lavorava alle Officine Galileo alla Leonardo. Ci sono stati anni duri per lui: aveva perso entrambi i genitori nel giro di pochi mesi. La morte non è mai stata un tabù per lui. Lui diceva sempre di volersi godere gli anni di vita dopo la pensione. Di voler fare il nonno. Non vedeva l’ora di avere un nipotino...”.

Come sta sua mamma?

“Come una persona che ha perso l’amore della sua vita. E’ molto dura”.

Cosa potrebbe aiutarvi?

“Ci aiuterebbe avere delle risposte, anche se nulla ce lo restituirà più, nemmeno le risposte. Ma noi vogliamo sapere. Attendiamo anche di conoscere i risultati dell’autopsia. Mi chiedo spesso come è successo: io spero solo che non abbiano sofferto, lo spero anche per la famiglia Paoli”.

La tragedia di Calenzano è molto diversa, ma immagino vi abbia toccato molto.

“Sì, ha riaperto con violenza la ferita. Io ero a Mezzana: ho sentito il rumore, l’onda d’urto. Pensavamo a un terremoto. Quando si è visto il fumo è stata una doccia gelata. Per me è stato come rivivere i giorni della ‘nostra’ tragedia: gli articoli di giornale, i dispersi, quel senso di sospensione. Pensare che c’erano mogli e figli delle vittime che in quel momento vivevano la stessa disperazione vissuta da noi ci ha fatto rivivere l’incubo”.

E nei giorni di festa, con il Natale alle porte, certi dolori pungono ancora di più.

“Sì, ci si sforza di vivere lo stesso le feste, ma il pensiero è lì. Io poi adoro il Natale: inizio a fare l’albero a ottobre, per capirci. Ma quest’anno, per quante persone avessi attorno al tavolo il 25 dicembre, continuavo a guardare il suo posto vuoto. Continuavo a cercare chi invece non c’è più”.

Cosa avrebbe voluto chiedere al suo babbo in questi mesi?

“Perché non è tornato. Cos’è successo. Ma lui non può rispondermi. Per questo aspettiamo di sapere se ci sono delle responsabilità, perché ora viviamo completamente nel limbo”.

Il suo babbo non era socio del poligono di via di Galceti, ma lì aveva molti amici.

“Sì, lui faceva tiro dinamico. In quel poligono non andava a sparare da anni, non era tesserato lì, andava alle Croci o a fare il tiro a volo a Montecatini. Quello era più un ritrovo con gli amici, un modo per passare qualche ora in compagnia. Sa, se avessimo dovuto pensare a una disgrazia, temevamo potesse partire a qualcuno un colpo per sbaglio, di certo non avremmo mai pensato a una tragedia del genere. Eravamo certe che fosse garantita una condizione di sicurezza della struttura. Ci vanno tante persone. Tre giorni prima lì c’era stata anche una gara...”.

Ha sentito in questi mesi la famiglia dell’altra vittima, Gabriele Paoli?

“Non li conoscevamo, ma mi ha contattato la figlia di Gabriele, Alessia, qualche giorno dopo la tragedia. Ci siamo parlate e abbiamo pianto assieme al telefono. Non ci conosciamo, ma ci unisce lo stesso dolore. Ci siamo sentite ache dopo Natale per i non auguri che non ci siamo fatte. Una volta un amico mi ha detto: Erika il tuo babbo non c’è più, ma tu sei ancora viva. E’ vero: lui non avrebbe voluto che io vivessi una vita a metà, e ogni volta che sorrido sono sicura che lui è contento. Ma poi il pensiero torna lì: avrà provato a scappare? di cosa si è accorto?”.

Cosa gli vorrebbe dire?

“Che mi manca, che cercherò di essere quella che lui avrebbe voluto mettendo in pratica i suoi insegnamenti. Se penso a un babbo ideale penso a lui: sono felicissima del babbo che è stato. Gli avrei voluto dedicare una poesia, il giorno del funerale, ma non ne ho avuto la forza”.

Vuole provarci ora?

“Sì, è una poesia inglese di Henry Scott Holland, anche se qualcuno la attribuisce a Sant’Agostino. Inizia così: “La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto...”.