di Maristella Carbonin
PRATO
"Ricordo bene il giorno in cui, era il 1992 ed ero alla Don Milani, venne a scuola la prima bambina cinese. Si chiamava Aili. Aveva 12 anni, me la misero in una quinta. Non sapeva una parola di italiano. Era un percorso tutto da costruire. Ora non siamo più a quegli esperimenti, ma ci sono ancora tanti aspetti da studiare". Ha un osservatorio privilegiato, Mariagrazia Ciambellotti, preside del liceo Livi Brunelleschi, quando parla di scuola, di studenti e di diritti, anche. Al biennio dei tre licei ci sono classi con oltre il 50% di alunni stranieri, in alcune si arriva al 70%. Entra volentieri nel dibattito sullo Ius Scholae. Lo fa con il senso ‘pratico’ di chi, da anni, si trova a vivere da dentro il "laboratorio Prato".
Cosa ne pensa dello Ius Scholae?
"Lo Ius scholae è un’opportunità. Anche se io sarei per lo Ius soli, ma almeno questo primo passaggio ritengo possa essere un percorso condivisibile anche con alcune forze politiche. Insomma è un primo passo. Ha un valore notevole: dare centralità all’aspetto della formazione è un riconoscimento importante. La scuola per tutti i bimbi è un momento sociale, di confronto. La scuola è fondamentale per chi ha un percorso di integrazione da svolgere".
A Prato la popolazione cinese aumenta di quattro unità al giorno. Come giudica il percorso di integrazione?
"Con i bambini cinesi è un po’ più complicato. Gli esperti ci dicono che occorre un periodo un pochino più lungo. Ad esempio, abbiamo ragazzi che arrivano a un ottimo livello e voto alla maturità. Ma è importante partire presto, sin dal nido. E in tutto il percorso è necessaria l’interazione con gli italiani. Bisogna favorire non solo l’inserimento a scuola, ma anche un ulteriore ambiente di socializzazione. Insomma, occasioni ricreative extrascolastiche".
C’è la questione della barriera linguistica.
"Esatto, e la lingua si impara se c’è interazione con gli altri".
Ma in questo un ruolo chiave lo giocano anche le famiglie.
"Certo. Diverse famiglie d’estate tornano in Cina. Poter creare un’alleanza con le famiglie è fondamentale. Occorre concordare tutte quelle azioni che possano aiutare i ragazzi nel percorso. Da anni a Prato si studia il fenomeno della ‘fossilizzazione’, ma resta ancora molto da capire".
Fossilizzazione: può spiegarci meglio?
"Ci sono ragazzini in seconda, terza o quarta, insomma tra i 15 e i 17 anni, che rimangono al ‘livello A1’, quindi al livello essenziale di conoscenza della lingua. E sono ragazzi che sono nati qui e hanno già fatto molti anni a scuola. Perché non si sono mossi da quel livello, mentre altri ragazzini cinesi in poco tempo fanno percorsi di cresciuta incredibile e arrivano a prendere 100 alla maturità senza problemi? Sicuramente c’è una componente individuale, ma c’è anche una reazione diversa agli stimoli, che non si riesce a capire fino in fondo...".
Di cosa ha bisogno la scuola per favorire i percorsi di integrazione, ma anche di crescita, degli studenti stranieri?
"Ha bisogno di interventi strutturali. Prendiamo il Pnrr, che sicuramente ha dato fondi preziosi: ma per la scuola non servono interventi a spot, abbiamo bisogno di interventi strutturali. Meglio poco, ma strutturato. Meno risorse, magari, ma costanti e certe. Abbiamo bisogno di docenti, anche due, tre per istituto, speciliazzati in didattica della lingua, la cattedra 023. Hanno un occhio diverso rispetto ai docenti di lettere e possono aiutare tutti i docenti, trasversalmente, nel favorire il percorso di lingua per gli stranieri. Al momento, invece, sono previsti solo nell’organico dei Cpia, istituti che fanno corsi per stranieri adulti. Mentre le scuole non ne hanno. Già anni fa, partendo proprio dal caso particolare di Prato, avevamo chiesto uno di questi insegnanti in ogni scuola. Ora abbiamo i facilitatori, grazie alle risorse di Comune e Provincia, ma solo per alcune ore. Non basta".