Era il febbraio 2001. L’Unione industriale con il suo Gruppo promozione e immagine lanciò in modo ufficiale l’idea di affidare a Oliviero Toscani un grande progetto di comunicazione per Prato. Se ne parlò per settimane, anche sulla Nazione. Finì male, molto male. Volarono gli stracci. Vale la pena cercare di ricostuire in sintesi cosa successe, anche se sono passati 24 anni e il mondo nel frattempo è profondamente cambiato (comunicazione e immagine sono però oggi ancora più determinanti e i problemi del tessile purtroppo assai più gravi).
Toscani individuò subito nel Pecci uno degli elementi chiave della sua proposta, come simbolo di una città proiettata nel futuro ed aperta al mondo. Primo ostacolo: il Pecci era il Pecci, Toscani era Toscani, per nulla facile trovare un punto di equlibrio. Per la Bottega della comunicazione, questo era il titolo del progetto, servivano 50 miliardi delle vecchie lire. Secondo ostacolo: tanti soldi. Gli industriali coinvolsero il Comune – si trattava di rilanciare l’immagine della città, oltre che del distretto –, e il Comune sondò il sostegno della Regione, come da prassi. Terzo ostacolo: troppi i soggetti coinvolti, le "sensibilità", i pareri. L’iniziale clima di entusiasmo iniziò presto a raffreddarsi e Toscani a spazientirsi. Ci furono riunioni, telefonate, scambi di opinioni anche accesi. Finché arrivò il giorno fatidico della presentazione del progetto alla città, organizzato dai Giovani industriali, il 7 giugno. E quello fu il punto di non ritorno.
Davanti al pubblico che gremiva il salone di via Valentini il grande fotografo sbottò, com’era nel suo stile. Disse: "L’altro giorno uno dei vostri zii mi ha detto: facciamo cappotti di cachemire straordinari... e non riusciva a capire perché non questo funziona più. Perché? Perché il presente, ma soprattutto il futuro, è comunicazione. Se Prato non comprende questo tra qualche anno sarà finita. I cappotti di cachemire li faranno oltrove e qui resteranno a sedere". Gli zii: erano per Toscani gli industriali con cui si era confrontato nelle settimane precedenti, "a parte un paio di imprenditori illuminati". Poi rincarò la dose. Definì Prato "una città brutta e costruita dai geometri", disse del Pecci che ospitava "solo mostre di terza visione". Il clima in sala si raggelò. A complicare le cose ci si mise anche il proiettore, che non funzionava: niente immagini del suo progetto. Doveva andare tutto male quel giorno: era scritto nel destino. "Ho presentato la Bottega della comunicazione in trenta pagine – aggiunse –, all’ultima c’erano poche righe, sul costo. Gli zii hanno messo subito l’occhio lì, prima che sul resto. E’ quasi un anno che vado avanti e indietro tra casa mia e Prato: lo faccio per passione, sennò vi costerebbe caro. Oggi vengo qui e il proiettore non va. Avrei dovuto andarmene. Il progetto per Prato? L’avrete capito ormai: è il coraggio che manca. Prato non ha voglia. Ma attenti, tra qualche anno non farete neanche più i cappottini di cachemire". Parole come pietre. La Bottega della comunicazione era morta prima di nascere.
Oliviero Toscani non dimenticò. Nel marzo 2002, in occasione della presentazione di un suo video all’ex Leopolda di Firenze, parlò di nuovo del suo progetto per Prato. "Ci ho creduto – disse –, ma poi mi sono accorto che appena ti sposti dal piano degli stracci a uno più culturale è un disastro. Ci vorrà ancora qualche anno, io credo, perché la gente di Prato capisca cosa significa affrontare il mercato anche con una certa cultura. Si dovranno rendere conto che non potranno più comportarsi come si sono comportati fin qui. Dovranno attrezzarsi per affrontare una concorrenza mondiale e se vorranno salvaguardare un marchio italiano dovranno mettersi a cercare un valore aggiunto in una comunicazione che non hanno mai preso in considerazione".
Il progetto Toscani poteva essere una sliding door per la città? Prato all’epoca si divise come spesso accade, con il partito dei contrari in netta maggioranza. Troppi gli equilibri da mettere a rischio, troppi i soldi, troppe le parole dette in più. Dopo 24 anni il distretto arranca, sotto il peso delle fabbriche chiuse e i posti di lavoro perduti. Ci sono aziende d’eccellenza, che investono in innovazione, che guardano al futuro e sono un modello, ma la crisi del tessile è ormai endemica e il distretto illegale un gigantesco problema. La comunicazione è un tema ancora più cruciale. In quei giorni di dibattito innescato dalle parole di Toscani, fra i tanti interventi merita ricordare quello di Beatrice Magnolfi, all’epoca parlamentare Ds. "L’immagine della città è ancora inferiore alla realtà – scrisse –. Sui motivi di questa sottovalutazione si potrebbe scrivere un trattato. Ma non è il tempo della diagnosi, quanto della cura: è possibile un progetto di comunicazione globale della città, in modo che questa immagine “tiri” anche il valore dei suoi prodotti? E quali sono gli strumenti per realizzarlo?". Era il 2001, poteva essere ieri.