
Luka Wei e il collega al picchetto dei Sudd Cobas a Galciana Foto Attalmi
"Voglio portare il mio sostegno a questi lavoratori vittime di sfruttamento e apprezzo quello che il sindacato dei Sudd Cobas sta facendo per loro. In Cina non esistono organizzazioni sindacali così, chi è sfruttato sta zitto per paura". Non è passata inosservata l’insolita presenza di Luka Wei (non era mai successo di vedere una cinese a una iniziativa sindacale), ricercatrice di letteratura working class all’Università di Macao, al picchetto organizzato dai Sudd Cobas in via Fioravanti a Galciana, di fronte ai cancelli della stireria e azienda di logistica "All Goods". La protesta è cominciata lunedì e Luka Wei, insieme a un collega, si è unita. Luka non è d’accordo con i metodi di lavoro usati dai suoi connazionali nel distretto parallelo cinese dove il sistema dello sfruttamento è diffuso e consolidato.
Luka, di dove è originaria? "Sono di Gansu, una provincia nel Nord Ovest della Cina".
Qual è il suo lavoro? "Faccio la ricercatrice all’università di Macao e mi occupo di letteratura working class che racconta la vita delle persone che lavorano, in particolare le oppressioni e i conflitti sociali che vivono".
Come è arrivata a Prato, al picchetto dei Sudd Cobas che appoggia quattro operai pachistani che denunciano di essere stati sfruttati? "Sono arrivata in Italia con il mio collega per partecipare al festival della letteratura working class che si è tenuto alla Gkn a Campi Bisenzio. Lì ho conosciuto una delle ragazze del sindacato, Francesca, che mi ha invitato qui a Prato. Sono venuta a fare un giro e appena ho visto la situazione mi sono appassionata alla loro storia".
Così ha scelto di protestare anche lei? "Sì, mi sono fermata qui con loro. Io e il mio collega, che sta facendo un PhD all’università, avevamo in programma di visitare altri luoghi ma abbiamo cambiato idea e questi ultimi giorni di permanenza in Italia – ripartiremo venerdì – li passeremo a Prato, insieme ai ragazzi".
Sa qual è la situazione lavorativa di molti suoi connazionali, ma anche di tanti cittadini stranieri soprattutto pachistani, qui a Prato? "Purtroppo sì. So come sia brutta la situazione e i metodi usati da molti imprenditori".
Nel suo paese esistono situazioni di sfruttamento simili? Persone costrette a lavorare 12 ore al giorno per sette giorni la settimana? "Sì, il sistema è identico. A Singapore, ad esempio, ci sono molti cittadini bengalesi e pachistani che sono sfruttati nelle fabbriche. Però là è un altro mondo, non esistono le organizzazioni sindacali. Qualcuno viene punito ma i casi vengono giudicati singolarmente. C’è meno attenzione. Qui la situazione è più complessa".
In che senso? "La comunità di Prato è chiusa in se stessa. I cinesi hanno paura, non si ribellano e non aderiranno mai a proteste sindacali simili a questa".
Che cosa vuole dire ai lavoratori che si stanno battendo per i loro diritti? "Di mangiare di più (ride, ndr), di non mollare e di far capire a tutti che se uniscono le forze per loro ci sarà una possibilità di una vita migliore. L’unione è fondamentale per vincere e per cambiare le cose".
Da anni il sindacato porta avanti battaglie di questo tipo, che cosa pensa di questa forma di protesta organizzata dai Sudd Cobas? Dei picchetti? "Mi piacciono tantissimo. Ho trovato tanti giovani appassionati, impegnati, attivi politicamente. Mi piace come sono organizzati e voglio imparare da loro".
Racconterà le storie di questi operai quando tornerà in Cina? "Ho parlato a lungo con i ragazzi, voglio scrivere delle storie su di loro. Anzi, mi piacerebbe che le scrivessero loro".
Che cosa pensa del titolare dell’azienda? "Ho provato a parlare con lui ma non ha voluto. Resto qui e continuo ad appoggiare la protesta".
Laura Natoli