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Processi fermi a causa della mancanza di interpreti, sulla questione pratese aleggia il mistero (Foto di repertorio)
Prato, 2 marzo 2025 – Questo processo non s’ha da fare. Quando spariscono i faldoni, quando mancano le notifiche, ora non si riesce a trovare un interprete cinese capace di decodificare il groviglio di intercettazioni telefoniche su cui si basa gran parte del processo. Tutti evaporati nel nulla: chi declina l’incarico, chi non si fa trovare. E il processo è in stallo da quasi quattro anni. Non si sta parlando di un processo qualsiasi, ma di quello aperto a Prato nel 2021 su una presunta organizzazione criminale cinese di stampo mafioso che avrebbe messo a ferro e fuoco il distretto parallelo pratese (e non solo) fra il 2010-2013 per il controllo dei trasporti su gomma e cui si collegavano una serie infinita di reati (minacce, estorsioni, usura, traffico di droga, sfruttamento della prostituzione).
E’ il primo processo che supera l’udienza preliminare e nel quale “resiste“ la contestazione dell’aggravante del metodo mafioso all’interno della comunità cinese. Nel 2018 l’operazione (spettacolare) “Chinatruck” portò all’arresto di 25 orientali, tutti scarcerati dal tribunale del Riesame una ventina giorni dopo proprio per problemi legati alle intercettazioni. Il tema è dei più attuali, in quanto di recente si sono verificati più episodi che farebbero pensare all’esistenza di una faida fra gruppi contrapposti di imprenditori cinesi per il controllo di due settori strategici: quello della logistica e quello delle grucce. I metodi ricordano quelli della mafia di casa nostra: intimidazioni, minacce, ritorsioni, incendi, tentati omicidi. Casi inquietanti su cui le indagini della Dda sono in corso da tempo. Parallelamente quello che doveva essere il “grande processo”, con 55 imputati, che doveva mettere il sigillo sulla parola “mafia” accostata alla comunità cinese non riesce neppure a decollare. Nei giorni scorsi il collegio dei giudici del tribunale di Prato è stato costretto a rinviare per l’ennesima volta l’udienza per l’impossibilità di nominare un perito, un interprete orientale, che metta mano alle migliaia di intercettazioni telefoniche registrate durante le indagini e di cui esiste solo il brogliaccio della polizia giudiziaria. Due sono i dialetti cinesi da tradurre: il Fujian e lo Wenzhou, quest’ultimo il più diffuso a Prato.
Peccato che nessun interprete di quelli presenti negli elenchi ufficiali si prenda la responsabilità. E il processo è fermo al palo. La fase dibattimentale si è aperta per modo di dire in quanto ancora non è stato sentito neppure un testimone. Resta tutto appeso alla ricerca del perito. Nel momento in cui sarà trovato, ci vorranno mesi prima che possa concludere il lavoro.
Sul perché tutti gli interpreti declinino l’incarico aleggia il mistero. La cosa curiosa è che quello che era stato definito il “capo dei capi”, il personaggio chiave dell’inchiesta, Zhang Naizhong, alla guida della presunta organizzazione criminale, stimato e rispettato da tutti (si racconta di una serata a Prato in cui si bloccò una strada perché lui era a cena in un ristorante e fuori c’era la fila per rendergli omaggio) nel frattempo è stato assolto dall’unico caso di usura che gli era stato contestato.
Insomma, l’iter processuale sta battendo ogni record (negativo). E pensare che la maxi inchiesta (il fascicolo aperto undici anni fa è passato di mano in mano subendo fortissimi ritardi già nella fase delle indagini) era stata presentata come qualcosa di rivoluzionario che dimostrava finalmente l’esistenza della mafia cinese a Prato, tanto che l’ex il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, commentando gli arresti nel 2018, accostò (forse in maniera un po’ azzardata) “Prato a Corleone”. Di tutto ciò restano ritardi, rinvii e interpreti fantasma.