GUIDO GUERRERA
Cronaca

La missione di padre Carmelo : "Infondere fiducia in chi soffre"

Il cappellano dell’ospedale e delle suore Minime del Sacro Cuore racconta la sua esperienza accanto ai malati del Santo Stefano. "A volte è uno strazio, anche un sacerdote sente il peso delle disgrazie".

Una corsia dell’ospedale Santo Stefano Foto Attalmi

Una corsia dell’ospedale Santo Stefano Foto Attalmi

Nato a Frattaminore, in provincia di Napoli, padre Carmelo è attualmente cappellano delle suore Minime del Sacro Cuore di Poggio a Caiano e presso l’ospedale Santo Stefano. Una vita intera spesa nelle missioni cercando di dare aiuto ai più poveri della terra quella di padre Carmelo che, dopo la laurea presso la Facoltà Pontificia, parte per il Brasile,poi in Russia e in diversi paesi dell’Asia affrontando situazioni di grave emergenza. Un uomo di Chiesa aperto, colto eppure dotato di grande umanità e di semplicità di modi. La conoscenza di diverse lingue, tra le quali il russo, gli permette una pronta e più facile comunicazione, ma quel che conta per lui è saper parlare con il cuore. Ed è esattamente quello che continua a fare ogni giorno, qui da noi.

Chi è un cappellano ospedaliero? "E’ innanzitutto colui che deve mostrare l’amore di Dio ai sofferenti mediante la fede e il massimo grado di empatia con chi in quel momento si trova in un letto di dolore. Un cappellano deve essere dotato di raffinata sensibilità con l’obbligo di comprendere perfino i pensieri di coloro che gli stanno di fronte. Talvolta è un dialogo che avviene attraverso gli occhi, una conversazione altrettanto intensa anche se fatta di sguardi".

La sua è una funzione anche sociale oltre che religiosa? "Certamente. Il mio intento è quello di affermare e dimostrare la presenza del Cristo nel nostro contesto sociale proprio quando il dolore sembra offuscare quella visione. In ogni persona malata io vedo e celebro la presenza di Cristo che è sempre fonte di speranza e di consapevolezza spirituale, una cura che fortifica perché riesce a dare il massimo conforto affrancando ognuno di noi dallo smarrimento della solitudine".

Cosa significa confrontarsi con la sofferenza? "E’ uno strazio profondo, perché anche un sacerdote è un uomo e sente il peso di tante disgrazie che a volte sembrano segno di una inspiegabile ingiustizia. Bambini in tenera età condannati alla malattia, anziani abbandonati da tutti e in preda alla disperazione. In casi del genere anche i più saldi nella fede sentono qualcosa vacillare dentro". E ci domandiamo spesso: Perché Dio permette questo? Vorremmo avere una spiegazione che ci rassicurasse, per continuare ad alzare lo sguardo al cielo con fiducia. Ma forse è una visione limitata anche porsi quella domanda seppur giustificata. "E’ una questione teologica di grande delicatezza ma a me piace parlare con le persone, anche con chi non crede, in termini dialettici e semplici piuttosto che speculativi".

Il suo compito è talvolta quello assai delicato di accompagnare una persona verso l’estremo viaggio. Quali sono le fasi di questo suo ruolo? "Il mio ruolo è quello di infondere serenità, perché in genere chi è vicino al trapasso lo sente con estrema acutezza. Allora li invito a parlare della loro vita, delle fasi salienti della loro esistenza. Non è affatto una confessione, ma il più delle volte mi vengono rivelate cose delicate, come se fossi un amico di vecchia data in cui confidare. Quello che noto ogni volta all’approssimarsi del trapasso è la dolcezza e la chiarezza dei pensieri. Una riconciliazione con l’Assoluto".

Come riesce a dare speranza a un’anima turbata? "Le anime turbate sono specialmente quelle dei parenti, delle persone care che soffrono con i malati a loro legati da un qualche vincolo affettivo. Creare una catena di amore e di preghiera è in questi casi di enorme conforto. E a questo va unito il potere assolutamente taumaturgico di un fraterno abbraccio".

La sua è una missione di grande importanza spirituale, eppure molto difficile. Ritiene che sia il percorso più aderente alla sua vocazione? "Il mio incontro con la religiosità è avvenuto quando era solo un ragazzo, a Lourdes. Ero un globetrotter in giro per tutta Europa. Il destino mi ha portato in quel luogo di fede , senza che neppure me ne rendessi conto. Posso dire che è stato volere del caso. In realtà sono rimasto folgorato dalla fragilità umana, dalla caducità assoluta del nostro involucro fisico tutt’altro che eterno. Ho iniziato così la mia attività di barelliere, in seguito sono entrato in convento e poi sono stato missionario in terre lontane. Il mio presente è ora qui, ma il futuro e i passi che compirò appartengono solo alla imperscrutabile volontà divina".

Guido Guidi Guerrera