REDAZIONE PRATO

La morte in 33 secondi. Dalla perdita di benzina alle quattro esplosioni

A innescare l’inferno, per la procura, è stato il motore del carrello elevatore. Il carburante è uscito da una valvola svitata. I pm: "Errori non scusabili". .

A innescare l’inferno, per la procura, è stato il motore del carrello elevatore. Il carburante è uscito da una valvola svitata. I pm: "Errori non scusabili". .

A innescare l’inferno, per la procura, è stato il motore del carrello elevatore. Il carburante è uscito da una valvola svitata. I pm: "Errori non scusabili". .

Mezzo minuto. Precisamente 33 secondi. È il tempo trascorso tra la fuoriuscita della nube di ’aerosol’ di benzina e le esplosioni nel deposito Eni di Calenzano del 9 dicembre scorso, che hanno provocato la morte di cinque persone e lesioni (in alcuni casi molto serie) ad altre 28. Davide Baronti, 49 anni, Gerardo Pepe, 45, Franco Cirelli, 45, Vincenzo Martinelli 51, Carmelo Corso, 57, gli operai che hanno perso la vita.

Tutto è partito dai lavori di manutenzione tra la corsia 6 e 7 dell’impianto, considerati alla base del disastro. A innescare la fuoriuscita del carburante, si legge negli avvisi di garanzia notificati ieri mattina, la rimozione di una valvola collegata con un "gomito" a una linea di benzina in pressione (circostanza sconosciuta ai lavoratori). La manovra non era indicata nel progetto di lavoro. La benzina è così uscita da una fessura apertasi in una flangia svitata dagli operatori della Sergen/Nolitalia, la società incaricata dal colosso petrolifero di eseguire gli interventi, impegnati nella corsia di carico numero 7 dell’aerea pensiline. Su cosa stavano lavorando? L’intervento doveva rimuovere una vecchia porzione della linea, destinata ad accogliere un nuovo impianto di fornitura di biocarburante Hvo (Hydrotreated vegetable oil).

Dalle indagini risulta che "l’aspirazione delle pompe era stata sostituita" mentre "la mandata delle pompe prevedeva l’utilizzo delle linee esistenti". Così, alla richiesta di carico di benzina arrivata dalla corsia 6, è partita l’attivazione delle pompe, provocando lo spruzzo e poi ben quattro esplosioni. La prima, come detto, dopo 33 secondi (erano le 10 e 21 del mattino). La seconda, molto più potente e in grado di deformare "due pilastri in profilati di acciaio", circa un decimo di secondo dopo. È seguito poi l’incendio delle autobotti ferme nelle corsie 6,5 e 3. Dopo circa due minuti dalla prime esplosione è arrivata la terza, considerata minore. Passano poi altri quattro minuti e il surriscaldamento del gasolio caricato nel tir in corsia 3, causa il cedimento della cisterna e il successivo scoppio di vapori di gasolio.

Cosa ha fatto da ’detonatore’? La fonte dell’innesco, si legge nella richiesta di incidente probatorio, è stata individuata – in termini di maggiore probabilità – in una parte "calda del motore a scoppio della piattaforma elevabile utilizzata dagli operatori Sergen per svolgere le attività". Anche quel carrello, secondo la procura, non doveva essere lì durante le fasi dell’intervento, considerato erroneamente "lavorazione a freddo".

Il disastro, per il procuratore di Prato Luca Tescaroli, è stato "un evento prevedibile ed evitabile" sulla base di risultanze investigative. Tescaroli parla di "errore grave e inescusabile". E di gravissime omissioni, e valutazioni scriteriate, lungo tutta la catena di comando. A partire da Eni. Ci sono quindi i primi indagati: la procura ha fatto notificare avvisi di garanzia a nove persone e alla stessa Eni spa per illecito amministrativo per i reti commessi dai suoi dipendenti nell’interesse della società in assenza di un modello organizzativo che impedisse la situazione di rischio, rischio che Eni aveva classificato con una probabilità di accadimento molto bassa.

Sotto inchiesta ci sono la dirigente incaricata della gestione del centro di Calenzano, Patrizia Boschetti, la responsabile del servizio protezione e prevenzione del deposito, Emanuela Proietti, lo stesso responsabile del deposito, Luigi Cullurà. E ancora: il responsabile del settore manutenzione e un suo collaboratore, Carlo di Perna ed Enrico Cerbino, e il tecnico addetto alla manutenzione e il proposto dell’impianto, Marco Bini ed Elio Ferrara. Con loro, tutti dipendenti Eni, sono sotto inchiesta anche l’amministratore unico della Sergen e il preposto della stessa azienda, Francesco Cirone e Luigi Murno. Le accuse sono di omicidio colposo plurimo, disastro colposo, lesioni personali. Negli avvisi, infine, la procura censura alla radice il modello di lavoro imposto da Eni nell’impianto."Per interesse e vantaggio (della Eni, ndr), veniva permessa la contemporaneità dell’attività lavorativa di manutenzione e di carico di autobotti, agevolando così il mantenimento della produttività funzionale all’attuazione delle strategie imprenditoriali dettate dalla stessa Casa madre".

Pietro Mecarozzi