E’ stato amministratore, politico ed è esperto di dinamiche delle Pmi: Marco Romagnoli conosce bene la Piana tra Prato e Firenze, i suoi problemi e le sue potenzialità.
Iniziamo con uno sguardo economico: la Piana, di cui Prato è territorio fondamentale, produce la maggiore quota del pil regionale. Questo dato è una distorsione o un valore a prescindere?
"Lo sviluppo industriale nell’asse Firenze-Prato-Pistoia si è realizzato nel tempo in base alle vocazioni dei territori e alla loro espansione demografica, anche a seguito della costante riduzione di territorio disponibile di Firenze. Si è venuto così consolidando una vocazione industriale nei comuni dell’area fiorentina, mentre il capoluogo si è specializzato nelle attività terziarie e nel turismo. Il distretto industriale di Prato si è trasformato nella componente settoriale: da tessile a tessile e abbigliamento, in seguito alla crisi di quello che è stato il suo motore industriale, ampliandosi e diversificandosi. Pistoia ha ancor più rafforzato il vivaismo. Lo sviluppo è di per sé un valore, per ciò che produce come ricchezza e occupazione, ma certo deve essere governato se si intendono evitare distorsioni e ricadute negative".
E da un punto di vista politico-anministrativo non c’è stato un momento in cui si è detto: fermiamo le macchine e guardiamo se lo sviluppo in essere è il migliore possibile?
"C’è stata una fase in cui vi era una visione complessiva delle funzioni e delle specializzazioni, con una programmazione regionale che cercava un equilibrio tra i territori, attraverso interventi di sostegno per le zone meno sviluppate e di razionalizzazione e indirizzo della crescita nelle aree più industrializzate o con effetti di eccessivo accentramento del turismo. Il problema è che le competenze della Regione e dei Comuni nel governo dell’economia sono ridotte. Sostanzialmente lo strumento più forte ed efficace è quello urbanistico, ma funziona soprattutto come limite, molto meno come attrazione e come leva. L’attrazione di investimenti ha indubbiamente bisogno di aree e norme per gli insediamenti, che però funzionano solo in presenza di infrastrutture adeguate, sia per la mobilità ed il trasporto, che per i servizi avanzati e la formazione. Si deve poi aggiungere due fatti nuovi dell’ultimo ventennio, l’elezione diretta dei sindaci e il crescente indebolimento tecnico e finanziario dei Comuni, in un contesto di perdita di peso dei partiti. I sindaci eletti direttamente devono acquisire il consenso dei cittadini, se vogliono essere rieletti, e lo debbono fare in un arco di tempo relativamente breve (5 anni). Questo significa concentrarsi su azioni di breve orizzonte, sacrificando le grandi opere, necessariamente realizzabili solo con risorse rilevanti e su più legislature; per le quali occorre una coerenza e una continuità che solo la volontà politica può garantire".
Che fare adesso che si è aperta una riflessione sul futuro dell’area vasta? È possibile incidere e iniziare ad avere una visione d’insieme?
"Una visione complessiva dello sviluppo è indispensabile ed è un compito della Regione, alla quale compete di elaborare una strategia sulla base della conoscenza puntuale della realtà, delle tendenze in atto e degli obiettivi. Una programmazione regionale che deve essere poi confrontata con le esigenze e le aspirazioni dei Comuni, nel contesto delle compatibilità e delle integrazioni tra i diversi territori".
Finora hanno prevalso le singole priorità senza una condivisione di obiettivi. Che serve adesso? Una politica industriale che delinei le prospettive comuni?
"Sono d’accordo con Chiti su un tavolo Regione-Comuni, ma devono essere già presenti la visione e gli obiettivi. Questo implica una consapevolezza del ruolo della Regione ed una assunzione di responsabilità di tutti gli enti. Il difetto che in genere si è riscontrato nelle esperienze precedenti è stata la latitanza dello Stato, non solo per la poca presenza nella fase programmatoria, ma soprattutto nella inadeguatezza degli investimenti e dei suoi organi periferici di controllo".
La novità in divenire sulla carta sarebbe il Parco della Piana. È sufficiente per dare maggiore equilibrio alla Piana o c’è necessità di scelte più coraggiose?
"Il Parco della Piana dovrebbe riequilibrare la pressione economica e demografica sul territorio e per questo è indispensabile, ma oggi occorrono anche altri interventi. La vicenda dell’aeroporto di Peretola è vergognosa, si trascina da cinquanta anni, con continue spinte e fermate, condizionate da forzature politiche soprattutto fiorentine. A mio avviso andrebbe recuperata una visione regionale: uno scalo secondario a Peretola e Pisa come centrale, collegata in modo efficiente e veloce dalla ferrovia, una bretella Prato-Signa e l’adeguamento della FI-PI-LI. Accanto a questo una reale e cogente programmazione urbanistica di area vasta, la terza corsia della Firenze-Mare, la metropolitana Firenze- Campi-Prato, interventi di bonifica e di messa in sicurezza e infine un assoluto divieto di ulteriore consumo di suolo con l’obbligo al recupero ed al riuso del già edificato".
Luigi Caroppo