ROBERTO BALDI
Cronaca

La scuola difficile del mitico Lungobisenzio Quando essere tifosi regalava emozioni

L’inizio dell’avventura biancazzurra nel ’41. Poi Valcareggi, Bearzot, Orrico, Vieri. E la Allasio in tribuna che ci faceva sentire poveri ma belli

Continuiamo oggi, con

questa terza puntata sullo

stadio Lungobisenzio,

il nostro viaggio nella Prato

di ieri iniziato due settimane fa

con la presentazione di questo nuovo appuntamento

domenicale offerto

da La Nazione ai suo lettori

e proseguito la scorsa

settimana con l’intervista

al Premio Strega Edoardo Nesi.

di Roberto Baldi

Si torna finalmente al Lungobisenzio, che sperabilmente (occhio all’avverbio: la speranza è l’ultima a morire, perché moriamo prima noi) riaprirà nella prossima gara casalinga. Era diventato la favola dello stento che-dura-tanto-tempo-e-non-finisce-mai, costringendo il tifoso a peregrinazioni in campi diversi o a guardarsi le partite sul divano di casa, un vino andato all’aceto, un deserto popolato di solitudini riscattate da un telecomando che cliccava su scampoli di gare regalate da Tv Prato con il commento competente di Massimiliano Masi. Torneremo nel "grande prato verde dove nascono speranze che si chiamano ragazzi" come cantava Morandi. Le trepidazioni sono le stesse, anche se siamo in serie D, che nel panorama calcistico vale zero meno zero. Ma è l’emiciclo che conta.

Cominciò qui in via Firenze il 7 settembre 1941 l’avventura biancazzurra, con l’amichevole Prato-Genoa, poi dieci campionati in serie B, gli altri in C e gli ultimi in D con un’altalena da far venire il mal di testa all’aspirina. Non solo calcio. Anche spettacoli fra cui il 6 luglio 1989 Liberi liberi (Vasco Rossi); il 3 settembre 1991 tour Le Nuvole ( Fabrizio De André); il 7 settembre 2007 Tutto Dante (Roberto Benigni), finché il 10 novembre 2015 vi atterrò anche Papa Francesco nell’auspicio di un’inversione di risultati. Non fu così. La Dinasty Toccafondi, una delle realtà più importanti del trasporto nazionale, ha deciso di cedere banco, baracca e chiccheri a zero lire, con Paolo Toccafondi che si è ricreato un’appendice calcistica livornese per rifarsi la bocca. Sul terreno del Lungobisenzio, filtro eccellente (mai un rinvio per pioggia), avevano familiarizzato allenatori di grido, che hanno puppato al mestolo biancazzurro: Viciani seminatore d’oro, Orrico finito all’Inter e due, diventati commissari tecnici della nazionale, come Valcareggi e Bearzot, perché Prato era una scuola difficile ma formativa. Come sciare all’Abetone: se ti va bene lì, sei buono per tutte le piste. Si succedevano calciatori come Segato, Loranzi (celebre per il flirt con Marisa Allasio, che venne a vederlo giocare al Lungobisenzio e ci fece sentire tutti poveri ma belli come il suo celebre film), Taccola, Bertini, Boninsegna, Esposito, Lenzi, Vieri, Diamanti. Impossibile sotterrare anni di storia biancazzurra, data dalla memoria di sportivi come Ubaldo Miliotti, che alla morte volle essere avvolto nel "glorioso vessillo biancazzurro" come lui lo chiamava, Guarnieri, Moncini, Gori, Pucci, Ciampi, Medico. Ci sono le speranze infrante e i sogni realizzati: le trasferte in treno organizzate da Anconetani; i mille tifosi in bicicletta nelle trasferte a Quarrata e Agliana con bici Coppini sponsor; l’aereo inviato da Cerbai sul campo dell’Arezzo con volantini inneggianti al Prato; la vittoria in un torneo nazionale di Coppa Italia con Ciccio Esposito; gli avvicendamenti societari esauriti per forza propria, mai con diktat da esproprio proletario.

Finché ha fatto banco un personaggio da fuori, come mai era accaduto a Prato che aveva regalato addirittura un imprenditore di spicco come Befani alla Fiorentina. Il nuovo è Stefano Commini: cortesia e decisionismo: in cinque mesi giubilati due allenatori, benservito a Reggiani, consiglio direttivo ridotto all’osso, poca brigata vita beata, con la benedizione di Biffoni. Si riaccendono le braci di una passione antica. Non chiedete a Commini di fare il Massimino presidente del Catania che, all’allenatore deluso per la mancanza di amalgama, domandò dove giocava l’amalgama per comprare anche quello. Ha già fatto capire che non ha le tasche bucate. Nelle pagine ingiallite del Prato riecheggerà intanto l’inno cantato da Baccini "bandiera biancazzurra nostra bandiera qualunque vento sia fai primavera". E sogneremo ancora, nel ritorno nello stadio che si chiama desiderio, i 10.000 spettatori della partita con il Montecatini, le colline dirimpetto, il vento che ti sgaruffa i capelli, il Bisenzio alle spalle, il "chi non salta pistoiese è" perché c’è chi non ha fatto il vaccino antiCovid ma tutti i pratesi l’hanno fatto contro i pistoiesi dal dì che tentarono di rubarci la Sacra Cintola. A Prato, oltre la nera cortina della notte, c’è sempre stata un’alba che ci aspetta, purché si faccia tesoro delle esperienze passate e di chi l’ha vissute, guardando lo specchietto retrovisore che non è meno importante del parabrezza.