ROBERTO BALDI
Cronaca

La triade dei penalisti che hanno fatto epoca Il diritto e l’umanità sono stati le loro armi

Cappelli, Guarducci, Mati: principi del foro, ma non amavano essere chiamati così. Il primo proprio in questi giorni è andato in pensione

Nella galleria dei personaggi nel nostro passato, un ricordo d’obbligo per tre avvocati che hanno segnato tappe significative nella storia del foro pratese: Paolo Cappelli andato in questi giorni in pensione, Giannetto Guarducci e Giovanni Mati. Con le foto di Ranfagni, in successione nelle scorse settimane abbiamo raccontato di Edoardo Nesi, il Lungobisenzio, Filettole, la goliardia, le botteghe del centro, il ristorante Baghino, Silvio Pugi, Roberto Giovannini, la redazione pratese de La Nazione, Pietro Fiordelli, il mondo del tessile, Giorgio Vestri, il teatro Metastasio, Lohengrin Landini, il Politeama, il campanilismo Prato Firenze Pistoia, Misoduli e la scorsa settimanaRodolfo

e Roberta Betti.

di Roberto Baldi

Lo trovi a giro con l’aria paciosa del cittadino qualunque, lui che era fra i grandi quando gli altri non erano nati, con il cagnolino Narciso che sembra portare a spasso il padrone e non viceversa nel segno della tranquillità conquistata da entrambi, in località La Castellina, il quartiere dolce di Prato alle pendici della collina, con i tempi lunghi del colloquio di ogni pensionato, negatigli talvolta quando la professione di avvocato senza tregua, uno dei più consultati in Prato, lo costringeva a rubare tempo al tempo. In Paolo Cappelli, 82 anni, laureato in giurisprudenza a 24, intuisci un contesto di vita sereno, occupato solo da nipoti e Narciso (chi non ha avuto un cane non sa cosa significhi essere amato) che lo tengono impegnato in diverse ore del giorno fra una versione di latino e un teorema di matematica come accadeva ai tempi in cui era studente al Cicognini quando dava le paghe a tutti. Fa parte di una triade di penalisti (accanto a lui Giovanni Mati e Giannetto Guarducci) che al foro di Prato hanno conferito una qualificazione particolare con un connotato di preparazione e di umanità a tutta prova. Presidente della camera penale per due anni, per oltre dieci anni presidente del consiglio dell’Ordine di Prato e per due anni presidente dell’unione distrettuale degli ordini forensi toscani, fu protagonista di vicende giudiziarie importanti fra cui il sequestro di Piero Baldassini insieme al collega Guarducci; e per la famiglia in ambasce sostenne la parte civile contro i responsabili condannati a varie pene fra i quali anche ergastoli. Con la sua capacità introspettiva e la sua vicinanza umana, lo sentivi prima amico e poi difensore, connaturati anche alla lunga presidenza del comitato pratese della Croce Rossa dove gli ultimi ti si presentano con le loro nudità e dove si richiede partecipazione umana a tutta prova. Immerso nel contesto cittadino per molti altri incarichi (è stato anche consulente del Progetto acqua, contribuendo alla redazione dello statuto di Baciacavallo e di altri impianti), ne è stato protagonista a vari livelli. In un diretto collegamento operativo con l’avvocato Cappelli, Gianetto Guarducci che demandò la causa famosa dei Baldassini al giovane collega, in un comune intento di risarcimento al dolore a cui ti chiama questa coinvolgente professione. Guarducci: un torrente di vita, talento severo e appassionato, sagacia e savoir faire, gli anni divorati dalla voglia di futuro. Se ne andò il 19 marzo del 2021, consacrato ai padri del mondo nei ricordi di tutta una vita, come scrissero nel necrologio di saluto i fratelli Giovanni e Sandro Veronesi. Nel momento in cui continuava ad arrampicarsi con i denti di una salute malferma, il destino era ad attenderlo nel verde della campagna di Gonfienti,dove l’orologio si è fermato per inebriarti dell’odore dei campi. Pochi giorni prima in una visita fra le tante che gli facevo disse: "Ho scelto questa splendida appendice di Prato, ristrutturando una tenuta che comprai da Dino Baldassini, con cui ho sempre avuto un rapporto affettuosissimo, stabilendomi proprio nelle vicinanze del luogo in cui il figlio fu tragicamente rapito, quasi un legame con una delle storie umane più penetranti della mia vita. Fu uno choc per l’intera città, per me e per i familiari nell’atmosfera ovattata di una tragica attesa. Gli uomini di fatica nello stato di riposo sembrano belve in cattività, omologate dalla tv e dai mezzi di comunicazione che t’impediscono di pensare. Io trovo qua finalmente il tempo di ripercorrere il cammino della mia vita e della mia città". Nella triade dei cosiddetti principi del foro, una dizione roboante non gradita certamente ai tre a impronta lineare e schietta (all’amico vescovo Simoni che lo chiamava avvocato, Mati disse di smettere, altrimenti lo avrebbe chiamato eccellenza che a un umile come Simoni pareva insulto), un ruolo tutto particolare ha rivestito appunto Giovanni Mati, anche lui oggi in pensione e dedito alla scrittura, fra i più noti penalisti in Toscana e non solo, che apprezzavi in tribunale per quella sua dialettica venata di ingegnosa ironia, pungente di acume logico, capace di imbarazzare gli stessi giudici che lo apprezzavano e lo temevano, pianista della parola ma anche capace di ascolto.

Fra i suoi ricordi più vivi il processo Bambagioni e l’ergastolo comminato a un giovane che aveva ucciso un barone del luogo. Non fu mai uomo da compromessi. "Vero che un buon avvocato deve conoscere la legge, ma soprattutto il giudice e l’amante del giudice ?" gli chiesi una volta fra il serio e il faceto. E lui asciuttamente: "No. Fondamentali sono studio e preparazione".Tre avvocati, tre eminenze sotto il profilo umano e del diritto, che fanno l’orgoglio del foro pratese, eccellente nelle qualità umane e professionali che lo compongono, bisognoso ahinoi di una rinfrescatura edilizia e numerica (un labirinto dove si procede col filo di Arianna di ascensori in costante avaria) che dia all’edificio, ottimamente diretto dal presidente Gratteri e dal procuratore Nicolosi, il segno di una giustizia impegnata nella costante volontà di riconoscere a ciascuno il suo diritto. Senza crepe edilizie e numeriche, perché la giustizia non diventi come quel treno. Quasi sempre in ritardo.