La truffa del pellet ha mietuto vittime in quasi tutta la Toscana (soprattutto a Prato, Firenze e Arezzo) e in Emilia Romagna. Pellet venduto a prezzi stracciati, comprensivi di trasporto e consgna a domicilio. Il materiale richiesto, però, non è mai arrivato a destinazione nonostante le caparre e, in alcuni casi, la cifra intera pattuita, fossero già state versate dagli ignari acquirenti. Un raggiro bello e buono quello messo in piedi da madre e figlio, Ada Di Leone, 64 anni, e Marco Saturnino, 45 anni, entrambi originari di Cosenza, che avevano aperto una società per la vendita del pellet, la "Cam Costruzioni holding srl", poi fallita, che aveva sede legale a Mendicino (in provincia di Cosenza) ma la cui sede operativa in realtà si trovava in via Strozzi a Prato. Il processo a carico di madre e figlio si è aperto ieri mattina di fronte al giudice monocratico Silvio De Luca. L’udienza, però, è stata subito rinviata a settembre 2023 nonostante i fatti contestati risalgano al 2016. Da allora sono passati otto anni e, nonostante la citazione diretta a giudizio grazie alla quale è stato possibile saltare il passaggio dell’udienza preliminare, ci sono ancora 220 parti civili che attendono di sapere che fine hanno fatto i loro soldi.
L’inchiesta è partita da un esposto dell’Aduc che aveva raccolto le segnalazioni di oltre duecento persone che sostenevano di aver effettuato diversi bonifici in favore della "Cam" per comprare una fornitura di pellet, il materiale che serve da combustibile per alcune stufe.
Secondo quanto ricostruito dalle indagini della guardia di finanza, coordinate dal sostituto procuratore Laura Canovai, madre e figlio avevano fatto pubblicare alcune pubblicità ingannevoli su giornali locali e in internet. Nelle pubblicità le forniture di pancali di pellet venivano offerte a prezzi stracciati, comprese della consegna a casa entro il settembre 2016. In molti sono caduti in trappola. Di Leone e Saturnino chiedevano un anticipo del 30% della somma totale per fare l’ordine facendo firmare ai clienti dei moduli.
In molti casi, i due hanno chiesto di saldare tutta la somma pattuita prima della consegna. Si parla di cifre che vanno da poche centinaia di euro fino a duemila-tremila euro. In realtà i clienti non si sono mai visti recapitare a casa la merce nonostante le tante insistenze e richieste di spiegazione. Alcuni clienti si sono anche recati nella sede di via Strozzi per avere delucidazioni senza, però, ricevere in cambio spiegazioni. Nonostante le tante richieste di rimborso, le vittime non hanno mai visto tornare indietro un euro di quanto versato alla Cam. Gli investigatori si sono concentrati sul principale conto corrente utilizzato dall’impresa, sul quale – a fronte di più di mille operazioni in entrata, per un totale di oltre 400.000 euro in soli cinque mesi di operatività – sono stati corrisposti acquisti di merce per soli 36.000 euro. La società è stata dichiarata fallita dal tribunale di Cosenza nel 2018. Il processo penale è appena iniziato e il suo percorso è già in salita con un primo rinvio di quasi un anno.
Laura Natoli