ELENA DURANTI
Cronaca

“Ditte informate dei controlli”. Aziende in crisi e lavoratori sfruttati, il lato oscuro del distretto moda

Emerge un’inquietante radiografia dall’inchiesta investigativa condotta dall’agenzia Reuters. Testimonianze choc: “Le ispezioni ai terzisti sono parziali e sempre annunciate in anticipo”

Controlli della polizia in una ditta con lavoratori cinesi a Prato

Controlli della polizia in una ditta con lavoratori cinesi a Prato

Prato, 5 gennaio 2025 – Lavoratori sfruttati, ispezioni ’farsa’, standard ambientali e di sicurezza fissati ma non rispettati. E’ quanto emerge dall’inchiesta condotta dall’agenzia di stampa britannica Reuters (e anticipata dal Corriere Fiorentino) sulla catena di controlli nel settore della moda di lusso. Inchiesta che coinvolge anche il comparto delle aziende confezioniste cinesi di Prato che lavorano, in subappalto, per i grandi marchi internazionali. Nel distretto dove un’azienda su tre è straniera e dove sulle 4252 aziende di confezione quelle cinesi sono il 78%, i lavoratori sono spesso costretti a turni pesantissimi. Turni illegali che non risulterebbero durante i controlli del cosiddetto “audit system”. I giornalisti investigativi di Reuters hanno scoperto, analizzando i documenti e parlando con gli addetti delle aziende terziste che lavorano nella filiera dell’alta moda, che i controlli effettuati in modo periodico sono in realtà parziali e sempre annunciati. Infatti oggi in Italia non c’è una legge che imponga alle aziende committenti di condurre gli audit (le ispezioni relative al rispetto di regole e diritti dei lavoratori) sulle imprese di fornitura.

Quando scattano i controlli, come rivelano le testimonianze degli operai a Reuters, le aziende vengono informate con anticipo, di modo che possano prepararsi e mostrarsi in regola: una volta terminata l’ispezione, tutto torna come prima. Con turni lunghissimi, precarietà e timore di perdere il lavoro. Inoltre negli ultimi sei mesi il settore della moda in Toscana ha passato un periodo di grande fatica: nel 2024 in Toscana si registravano circa 130mila addetti nel settore della moda, per un giro d’affari di 5,5 miliardi di euro, ma la crisi ha costretto gli imprenditori a ricorrere a 135mila ore di cassa integrazione in totale. E sempre nel 2024 sono state 300 le aziende del settore che hanno cessato l’attività.

A far luce sull’indotto nebbioso del tessile di lusso è Luca Toscano, sindacalista del Sudd Cobas: “Non è una rivelazione che questi controlli siano annunciati. Si tratta di audit privati. Sono le stesse aziende che pagano per questi controlli degli ispettori privati – spiega - quindi non c’è interesse a che venga eseguito un controllo obiettivo sulla correttezza delle procedure. L’unico obiettivo è quello di certificare l’avvenuta regolarità. Chi controlla se stesso non può funzionare da garante. In questi casi – aggiunge il sindacalista – non sono controlli Inail, Arpat o dell’Ispettorato del lavoro che mirano a contrastare l’illegalità. Gli audit privati hanno un funzionamento diverso, sono pagati dalle aziende e i terzisti ne vengono informati in precedenza. È così ed è ufficiale”. E il sindacalista del Sudd Cobas sottolinea anche un altro aspetto: “Il tema è che se la legalità deve essere affidata all’auto-controllo di aziende che cercano il massimo profitto, ciò non potrà mai avvenire. L’unico modo per far emergere le pratiche scorrette è di mettere al centro i lavoratori, che sarebbero i migliori controllori. Se la trasparenza sbandierata dai brand fosse genuina, si dovrebbero considerare gli operai come parte integrante e preziosa della filiera. Invece quelli che nel tempo hanno denunciato sfruttamento e irregolarità, hanno poi perso il lavoro”.

Lo scorso ottobre 2024, indetto dal sindacato Sudd Cobas Prato-Firenze, si è tenuto lo sciopero a oltranza in alcune aziende a conduzione cinese del distretto tessile pratese, il più grande d’Europa e il punto di riferimento per produzione di abbigliamento ’Made in Italy’ però conosciuto anche per il sistema di sfruttamento della manodopera nelle ditte orientali che impiegano molti operai di altre nazionalità come pakistani e nordafricani. Lo scopo era quello di porre l’attenzione sullo stato di questi lavoratori, promuovendo all’interno delle ditte le 40 ore di lavoro settimanali. Secondo le denunce del sindacato, gli operai lavorerebbero invece più di 80 ore, 12 ore al giorno per 7 giorni alla settimana, in nero e senza tutele o a fronte di contratti part time non rispettati.