Lavoro e comunità: "Non possiamo più fare a meno degli immigrati. Sono nel nostro futuro"

Marco Romagnoli, ex sindaco ed esperto delle dinamiche economiche e sociali del distretto, analizza le prospettive "Affitti, consumi, occupazione, natalità: così hanno cambiato Prato" .

Lavoro e comunità: "Non possiamo più fare a meno degli immigrati. Sono nel nostro futuro"

Marco Romagnoli, ex sindaco ed esperto delle dinamiche economiche e sociali del distretto, analizza le prospettive "Affitti, consumi, occupazione, natalità: così hanno cambiato Prato" .

di Luigi Caroppo

PRATO

La presenza di popolazione immigrata a Prato è sempre esponenziale. Una tendenza irreversibile ormai.

"Prato ha oggi 196.000 abitanti, di questi oltre 49.000 sono immigrati, cui certamente occorre aggiungere gli irregolari. Un pratese su quattro ha provenienza da altri paesi e, nonostante il tasso annuo si sia attenuato, l’immigrazione è destinata a continuare – sottolinea Marco Romagnoli, ex sindaco, già dirigente della Regione, esperto di economia e saggista – Per l’Italia Istat ha previsto in media per i prossimi 10 anni circa 350 mila nuovi immigrati all’anno, a fronte di circa 150 mila emigrati annui (tra stranieri e italiani). Un numero di ingressi che però non sarebbe sufficiente a contenere il calo della popolazione. Siamo dunque di fronte a spinte contrastanti: da un lato l’economia chiede un numero crescente di immigrati per lavoro a bassa qualificazione, dall’altra una consistente frangia di popolazione che individua nei nuovi arrivati un pericolo non considerando il loro apporto in termini di tasse, contributi e offerta di lavoro. E un sostegno utile anche per le famiglie".

Lo scenario confermato dagli ultimi dati presenta luci e ombre. Alti costi sociali da una parte, forza lavoro e natalità dall’altra.

"Questa è la contraddizione, infatti se non ci fossero arrivi di nuova popolazione, il nostro paese e Prato, sarebbero in declino demografico, con una popolazione anziana in costante crescita a fronte di una natalità molto bassa. La conseguenza sarebbe una scarsità di manodopera, con conseguente crisi dell’economia, e l’insostenibilità del sistema sociale e previdenziale. E’ evidente che per una città come Prato la continua crescita di popolazione, dovuta soprattutto a stranieri, pone problemi di costante adeguamento delle infrastrutture sociali e dei servizi, oltre a politiche mirate per l’integrazione e la coesione sociale, mentre i bilanci sono sempre più magri".

Ci sono anche riflessi economici della massiccia presenza come ha sottolineato nel suo ultimo libro. Per esempio gli stipendi degli immigrati che lavorano a Prato sono più bassi degli italiani. Perché? E che conseguenze nel mercato del lavoro ci sono?

"Secondo l’Inps, lo stipendio medio annuo di un operaio pratese ammonta a 19mila euro, quello di un operaio immigrato supera di poco gli 11mila. La disparità è dovuta alle minori tutele degli immigrati, che hanno bisogno di un lavoro per il permesso di soggiorno, ma anche alla loro disponibilità ad accettare qualsiasi tipo di lavoro e retribuzioni più basse. Le conseguenze nel mercato del lavoro sono di una massiccia presenza di immigrati nella posizione di operai (superano ormai il 50% del totale) e di una più generale funzione di contenimento di salari e stipendi per l’insieme dei lavoratori, rappresentando un bacino di offerta a costi minori, maggiore disponibilità e flessibilità. Una nuova realtà che pone problemi rilevanti ai sindacati".

Le sacche di illegalità sono sempre ampie.

"La diffusa illegalità economica è una caratteristica del nostro paese, che spesso si dichiara di voler combattere, senza una vera volontà di farlo, a cominciare dall’enorme evasione fiscale. Certamente l’immigrazione illegale alimenta il fenomeno, che conviene al lavoratore (perché senza permesso di soggiorno non può avere un impiego legale) e conviene agli imprenditori disonesti che pagano salari irrisori (2/3 euro l’ora) e non dichiarati. Se si volesse colpire questo tipo di illegalità occorrerebbe una chiara politica per riconoscere il problema, regolamentare le entrate, istituire un sistema di accoglienza e di formazione, aumentare i bilanci dei comuni in cui maggiormente si insediano i nuovi cittadini per metterli in condizione di realizzare gli investimenti resi necessari dall’aumento di popolazione".

Prato non può fare a meno degli immigrati? Quanto resta della loro presenza sul territorio in termini di consumi e di contributi comunali e statali?

"La città potrebbe fare a meno degli immigrati se fosse disposta ad accettare un declino demografico ed economico, lo svuotamento di centinaia di capannoni industriali e di abitazioni, l’impoverimento generale. Non è difficile immaginare cosa succederebbe se la città perdesse un quarto della popolazione: le statistiche degli ultimi venti anni documentano chiaramente che senza il lavoro, i consumi e i contributi degli immigrati avremmo avuto una caduta degli affitti e delle vendite di abitazioni e di capannoni industriali, un drastico ridimensionamento delle vendite di beni di consumo e l’edilizia, il commercio e l’industria sarebbero entrati in crisi profonda, con migliaia di chiusure. Il nodo, quindi, non può essere vogliamo o no l’immigrazione".

Ed entra in campo la politica

"Il vero problema da affrontare seriamente è quello di dotarsi di una seria politica di immigrazione legale, selezionata, accolta, preparata, e poi di leggi e controlli che tutelino i lavoratori, gli imprenditori onesti e dia sicurezza. Non è un’utopia, altri paesi si sono già mossi in questa direzione, ma certamente non è facile e presuppone un ceto politico serio e preparato".