REDAZIONE PRATO

Leggere il fenomeno: "Il disagio giovanile è frutto dell’assenza di adulti affidabili"

La psichiatra Zucchi analizza lo scenario globale di violenza e di perdita di valori in cui gli adolescenti si trovano a guardare al futuro. "Il gruppo ha perso il senso ricreativo e diventa squadra dal regime competitivo".

Teresa Zucchi, psichiatra e psicoterapeuta esperta di disagio giovanile

Teresa Zucchi, psichiatra e psicoterapeuta esperta di disagio giovanile

"E’ dilagante un disagio giovanile con un blocco nella traiettoria evolutiva, in cui l’adulto è grande assente dal ruolo di guida affidabile ed autorevole". Così Teresa Zucchi, psichiatra e psicoterapeuta esperta dei disturbi emotivi, comportamentali e del disagio giovanile, temi dei quali si occupa da oltre venti anni ed intorno ai quali ha costruito un percorso di supporto alle competenze genitoriali e di sviluppo del potenziale degli adolescenti. La riflessione è d’obbligo di fronte ad episodi violenti come quello registrato al polo scolastico di via di Reggiana, quando una ventina di giovani hanno scatenato una maxi rissa. "Bisogna premettere che c’è uno scenario globale di violenza, in cui tutti siamo inseriti con una percezione di precarietà. In questo contesto si inserisce anche il disagio giovanile espresso sotto varie forme: può sfociare in ambiti psicopatologici con disturbi alimentari, disregolazione emotiva, ritiro sociale per il timore di mettersi in gioco nella vita. Emerge un’estrema difficoltà nella gestione dei propri stati interiori che reclama l’intervento di una rete educativa e della presenza di noi adulti per aiutarli a gestire le varie situazioni della vita. E’ importante non caricare i ragazzi di aspettative che rispecchiano troppo spesso i nostri bisogni: abbiamo sostituito la valorizzazione delle loro inclinazioni con l’obbligo del successo a tutti i costi, non aiutandoli a trovare se stessi ed esprimere il loro potenziale". Per Zucchi siamo arrivati ad un momento in cui "c’è un’emergenza educativa rispetto alla quale non si può più restare indifferenti che reclama anche un coordinamento di tutte le realtà educative, dalle figure genitoriali a quelle scolastiche fino a quelle sanitarie. E’ necessaria una cordata congiunta". Un contesto in cui predominano le spinte individualiste e autoreferenziali, non c’è più lo sguardo rivolto al bene comune "per cui non si sta a vedere dove certe espressioni di aggressività si scatenano, se sono o meno davanti ad una scuola. Il modo di muoversi non è più cooperativo e collaborativo, è di antagonismo e di competizione". Una deriva in cui i ragazzi "trovano nel gruppo un punto di riferimento come sicurezza ed identificazione. Il gruppo aiuta ad arginare il senso di frammentazione, suscita la percezione di appartenenza ed è appoggio nucleare proprio nella fase di transizione dall’adolescenza all’età adulta. Oggi perde il valore ricreativo e di condivisione per diventare squadra dove prevale un regime competitivo ed aggressivo. Dove si mette in atto la rabbia repressa derivante dal non essere ascoltati e guidati". Zucchi evidenzia l’eclissi dei sistemi valoriali, gli effetti derivati dal periodo del covid ed altri connessi all’uso massiccio del social. "Quest’ultimo ha un esito plastico sul cervello riducendo la capacità di autoriflettere, attivando le aree più reattive e favorendo l’impulsività: se non si oltrepassa l’io per arrivare al noi, i ragazzi continueranno a manifestare la loro criticità attraverso varie forme, bloccati nel loro ciclo di vita. Quali soluzioni percorribili? "Se al loro fianco ci fossero adulti che parlano anche di morte, di fragilità e fallimento senza ostracizzare il tutto avrebbero la forza per andare avanti e mettersi in gioco".

Sara Bessi