SILVIA BINI
Cronaca

Licenziato per aver offeso i capi su WhatsApp, la Cassazione lo reintegra: “Le chat sono segrete”

La decisione sul caso di un operaio di Prato. Nel gruppo con i colleghi si era lasciato andare a commenti sui titolari

L'app di WhatsApp (foto archivio Ansa)

L'app di WhatsApp (foto archivio Ansa)

Prato, 28 marzo 2025 – Licenziato nel 2018 per frasi dure, severe e anche volgari contro i suoi capi in un messaggio vocale condiviso su una chat di Whatsapp (“Amici di lavoro”) con 13 colleghi. Ma la Cassazione reintegra nel posto di lavoro un operaio di Prato annullando il provvedimento dell’azienda e stabilendo indennizzi a suo ristoro. Per la Suprema corte, è stata l’azienda a violare il suo diritto alla riservatezza, mentre il suo dipendente con le sue critiche, anche forti, non ha esercitato né minaccia, né diffamazione ma ha espresso solo giudizi in un contesto lavorativo. Infatti, premettono gli ermellini, c’è una sentenza della Corte Costituzionale che differenzia fra la corrispondenza via e-mail (posta elettronica) e chat (conversazioni per via telematica) - la quale rimane segreta e riservata alla stregua di “una lettera inviata in una busta chiusa per posta” -, e le frasi pubblicate sui social come “Facebook rese così accessibili a tutti, dove invece la volontà dell’estensore o del dichiarante è che le sue affermazioni sia o pubbliche”. Dunque, la chat aziendale su Whatsapp fa parte di una corrispondenza che deve restare segreta e non può essere divulgata senza il consenso del dichiarante.

Nella vicenda dell’operaio pratese risulta che uno dei 13 membri della chat avrebbe condiviso le affermazioni del collega contro i capi. Ma, conclude la Cassazione, la riservatezza della comunicazione è tale per cui il datore di lavoro non ha la prerogativa di esercitare “un potere sanzionatorio di tipo morale” tale da comprimere gli spazi di libertà sanciti e tutelati dalla Costituzione al punto di licenziare il dipendente. Anzi, “tale iniziativa costituisce violazione del diritto alla segretezza e riservatezza della corrispondenza in danno del dipendente”. Anche la corte civile di Appello di Firenze aveva dato ragione all’operaio.

Secondo quanto ricostruito, l’operaio, dipendente di una griffe italiana d’abbigliamento dell’hinterland fiorentino (con sede fra Campi e Calenzano), era stato licenziato per aver apostrofato il titolare e l’azienda con epiteti poco rispettosi. L’operaio si era lasciato andare a commenti offensivi dopo la promozione di altri colleghi. E così aveva inviato un messaggio Whatsapp audio che poi è finito dritto ai titolari. L’operaio aveva chiesto aiuto alla Femca Cisl di Firenze e Prato e si era rivolto al tribunale del lavoro di Firenze denunciando l’episodio.

Il lavoratore infatti aveva perso il posto nell’agosto 2018, in seguito alla chat imbarazzante. I titolari lo avevano convocato e gli avevano detto che con lui “non poteva più esistere un rapporto di fiducia”. Già il tribunale del lavoro di Firenze gli aveva dato ragione ritenendo la chat Whatsapp “privata” e quindi “confidenziale” e facendo prevalere così i diritti alla riservatezza e di critica richiamati dall’articolo 15 della Costituzione. La Cassazione adesso ha confermato lo stesso orientamento.