di Anna Beltrame
"Diffidate da chi non sorride e si prende troppo sul serio". Terminò con queste parole il suo comizio, meglio il suo show, al Pecci. Era il 2 giugno del 2009: fu la prima e unica volta di Berlusconi a Prato, in occasione della campagna elettorale del futuro sindaco Roberto Cenni. Un tardo pomeriggio di cielo azzurro, bandiere e striscioni, con l’anfiteatro del museo gremito di sostenitori ed entusiasmo. Solo Matteo Renzi cinque anni dopo riempì di paragonabile energia piazza Duomo per Matteo Biffoni, che poi di Cenni prese il posto, battendolo al primo turno. Le piazze parlano.
Il Cavaliere quel giorno a Prato a lungo parlò, davanti a oltre cinquemila persone, fra applausi, sorrisi, miriadi di telefonini a scattare le foto, un tifo mai visto prima in città. "Qualcuno ha un pallone? Sì, perché mi sembra di essere in curva sud a San Siro...", fu la sua prima battuta.
Fece tre promesse quel giorno. "Tornerò qui a festeggiare la vittoria. Istituirò al Viminale un gruppo di studio sul caso Prato, perché qui la Cina non è vicina, è in casa. Prato sarà fra le prime dieci città italiane in cui invierò l’esercito, a pattugliare a piedi le zone dell’illegalità". Solo la terza promessa riuscì a mantenere. "Presidente noi siamo una città di lavoratori e non siamo abituati a chiedere. Ma adesso è necessario. E necessario che arrivino provvedimenti per il nostro distretto. I cinesi sono una potenza finanziaria senza controllo, non pagano le tasse e ci stanno comprando la città", gli disse Roberto Cenni. Sono passati 14 anni. I cinesi restano una potenza finanziaria senza controllo, il tribunale è in condizioni di gran lunga peggiori.
Sul palco del Pecci Berlusconi sfoderò il suo repertorio contro gli avversari del Pd. "I signori della sinistra non sanno cosa vuol dire lavorare, ma sono mestieranti della politica e quando trovano una sedia non la lasciano più – disse –. Mi hanno riferito che qui ora ci sono i nipoti dei nonni ex dirigenti del Pci, che trattano la cosa pubblica come una dinastia, che dà il potere agli eredi...". Davanti agli striscioni da stadio – I love Silvio, Silvio pallone d’oro, Silvio salva Plato, esibito ogni qual volta si parlava di cinesi – il Cavaliere incitò i presenti a darsi da fare: "E’ un’occasione da non perdere: se avessi qui uno spadone lo poserei sulla spalla di ciascuno, non la sinistra naturalmente, e vi nominerei missionari della democrazia e della libertà. Contattate tutti quelli che potete e convinceteli a votare Roberto". Se ne andò con il pubblico in piedi ad applaudirlo, stringendo mani e sfoderando sorrisi.
Fuori dal Pecci anche duecento contestatori, tra i quali un gruppo di studenti che vennero allontanati dalla Digos (fra loro anche Diego Blasi, oggi portavoce del Pd toscano). La stessa sera a Prato in piazza del Comune c’era Piero Fassino, allora segretario nazionale del Pd, per sostenere la candidatura a sindaco del compianto Massimo Carlesi. Anche quella piazza, piena ma non della stessa energia, parlava. E Prato era un’altra città.