Prato, 9 dicembre 2020 - Il 41 per cento della popolazione italiana presenta sintomi di stress traumatico da Covid 19 secondo studi nazionali.
E’ una risultante che riguarda anche Prato, il cui servizio di salute mentale ha avviato in questi ultimi tempi uno studio multicentrico nazionale con dati che verranno ufficializzati al termine della pandemia, ma di cui si può dire già che Prato presenta un livello di guardia significativo sotto il profilo psichiatrico per la recrudescenza epidemica, congiunta alla crisi del tessile e a quella di molte altre attività cittadine.
Ne parliamo con Giuseppe Cardamone, direttore della Unità funzionale complessa salute mentale adulti della nostra Asl, impegnato mattina e sera con la chiarezza di chi guarda all’essenzialenella palazzina residua del vecchio ospedale, dove l’abbattimento delle mura circostanti dà a questa costruzione residua l’aspetto di qualcosa che resiste in mezzo al flagello corona virus e dell’innovazione iconoclasta. Quali conseguenze si sono registrate sulla salute mentale dei pratesi? "Si è registrata una risposta ansioso-depressiva come nelle altre parti d’Italia. Ma a questo nucleo di sofferenza si associano in Prato componenti particolari quali le preoccupazioni relative ai costi socioeconomici dell’emergenza come perdita del lavoro o comunque dell’autonomia economica. Poi ci sono le paure che gli stranieri possano diffondere il virus, anche se la prevalente componente cinese ha costituito un esempio di garanzia in termini di prevenzione. Infine il perdurare delle tensioni che nel contesto pandemico non si esauriscono con la stessa rapidità con cui cala l’attenzione mediatica". Ci sono stati anche episodi clinicamente severi? "Li abbiamo registrati in circa il 15% della popolazione. Occorre considerare inoltre i casi in cui le tensioni create dal contesto pandemico si sono scaricate per il tramite della violenza intrafamiliare e altre modalità quali alcol e droga". Come risponde il servizio di salute mentale? "Stiamo compiendo ogni sforzo per rimanere disponibili: svolgiamo le attività ambulatoriali, gli interventi domiciliari, le azioni a livello educativo; interventi a distanza tramite telefono e videochiamate; abbiamo offerto uno spazio di accoglienza per gli operatori sanitari territoriali; una linea di azione a favore di coloro che hanno perso una persona a causa del Covid-19". Differenze fra marzo e giugno? "Nella prima ondata non siamo stati investiti in misura significativa dalla diffusione del coronavirus e a livello ospedaliero abbiamo offerto posti letto a realtà in affanno anche fuori regione. Oggi invece, anche se la situazione sta migliorando in queste ultime ore, viviamo in pieno il contesto pandemico con i conseguenti effetti: lockdown, distanziamento sociale, confinamento domestico e così via. Persiste la preoccupazione per le risposte da dare alle persone con altre patologie altrettanto gravi, anche se meno urgenti". E forse siamo anche meno solidali fra noi... "Sì, la seconda differenza riguarda il clima generale: questa volta si respira un clima sociale molto meno solidale, c’è meno tendenza a fare gruppo". Forse perché la crisi sociale ed economica sta pesando di più Non si ricercano soluzioni eque e solidali. Occorre riscoprire i valori della solidarietà e della cooperazione nella convinzione che la salute è importante e che ogni persona è importante".