Ogni singolo pezzetto di stoffa di seta o di lana, come ogni scarto di tessitura, era prezioso anche nel Rinascimento. Non si sprecava, anzi si riusava finché aveva fibre utili. E’ questo il tema del seminario di due giorni – organizzato dal Ministero dell’università e della ricerca con gli atenei di Firenze, Padova e Verona – che si terrà oggi e domani al Museo del Tessuto, e che si intitola "Da scarto a risorsa: l’innovazione tessile tra Rinascimento e sfide attuali". Un parallelismo che non è scontato. Infatti, il valore del riuso è cambiato nei secoli. Oggi il riciclo è un valore aggiunto della produzione, ne certifica la qualità e il rispetto dell’ambiente, nel 1400 gli scopi erano ben diversi. A spiegarlo è Francesco Ammannati, ricercatore dell’Università di Firenze che coordina il progetto "Waste, sustainability and innovation in Renaissance Italy: the case of the textile industry".
"Questo progetto del Ministero della ricerca finanziato dal Pnrr con fondi europei coinvolge con Firenze – spiega Ammannati – le Università di Padova e Verona e si propone di studiare l’uso sostenibile dei rifiuti delle lavorazioni tessili in epoca passata. Il progetto durerà due anni e analizzerà casi con varie materie prime, in diverse zone d’Italia. Le pratiche di sostenibiltà del tessile nel Rinascimento non erano una questione ecologia o di sensibilità civile ma bensì legate al processo produttivo che creava capi per le fasce più basse della popolazione, si cercava di utilizzare ogni scarto, era comune avere prodotti di seconda o di terza fascia. L’economia circolare era risparmio". Il ricercatore traccia anche alcuni esempi.
"Per quanto riguarda la seta, è ampiamente conosciuta l’esistenza di un materiale chiamato filugello, che derivava dal bozzolo di seta ’sfarfallato’, di cui il baco già uscito, aveva rotto l’integrità, rendendo impossibile ricavarne un filato lungo. Ciò sarebbe stato un problema – aggiunge Ammannati – per i prodotti di qualità, ma veniva lo stesso riutilizzato per manufatti minori come nastri o scampoli per piccoli oggetti. In fatto di lana all’epoca, non era raro trovarne di ottima qualità mescolata a seconde o terze scelte, e anche se c’era sorveglianza, evidentemente i grossi quantitativi venivano ’tagliati’ e aumentati, infilando dentro anche altre qualità più basse, senza causare un peggioramento significativo del tessuto misto. E in un caso di studio su Fabriano è emerso che gli scarti di lana costituivano la materia prima per la carta al posto delle fibre di legno"
Nel secondo giorno, il seminario pratese farà un ulteriore passo rispetto all’analisi storica con una tavola rotonda. "Proponiamo il patrimonio di studi storici e la nostra ricerca come risorsa contemporanea per la sperimentazione di processi innovativi di sostenibilità" conclude il ricercatore. Il progetto prevederà altri approfondimenti tra cui uno sul riuso tessile nell’azienda dell’arte e della lana di Francesco di Marco Datini. Alla tavola rotonda di domani, moderata da Silvia Gambi (docente del Dipartimento di scienze per l’economia e l’impresa dell’Università di Firenze) partecipano Francesco Truscelli, ceo di Truscelli Commerciale; Gabriele Innocenti, direttore di Filati Omega e coordinatore Produttori filati di Confindustria, Sauro Guerri ceo Progetto lana, Federico Gualtieri, presidente Filpucci.
Elena Duranti