ANNA BELTRAME
Cronaca

Luconi e la cultura: "Prato formidabile laboratorio: sappia ascoltare i fermenti"

Il regista ed ex assessore: "Non bastano occasioni di spettacolo, serve un pensiero politico profondo. Pecci e Met hanno perduto vitalità, rapporto col pubblico, immagine nazionale. Bene Politeama e Camerata" .

Luconi e la cultura: "Prato formidabile laboratorio: sappia ascoltare i fermenti"

Il regista ed ex assessore: "Non bastano occasioni di spettacolo, serve un pensiero politico profondo. Pecci e Met hanno perduto vitalità, rapporto col pubblico, immagine nazionale. Bene Politeama e Camerata" .

Massimo Luconi è regista affermato in ambito teatrale e cinematografico, con una lunga esperienza al fianco di maestri come Franco Zeffirelli, Luca Ronconi, Eduardo De Filippo, Mauro Bolognini. E’ stato direttore artistico del Metastasio dal 2002 al 2005 e condirettore dal 2010 al 2015. Oggi è direttore artistico del Festival di Radicondoli e docente della Fondazione Zeffirelli. E’ stato assessore alla cultura dal ’95 al ’99 con il sindaco Fabrizio Mattei.

Luconi, come vede la cultura a Prato?

"Prato è una città di straordinaria forza e intelligenza pragmatica, con esperienze culturali molto significative, che hanno comunicato nel tempo un’immagine positiva di città dinamica dal cuore antico. Purtroppo gli ultimi dieci anni hanno evidenziato una profonda crisi di tutto il sistema culturale: musei, teatri, attività periferiche".

Perché secondo lei?

"E’ mancato un pensiero politico profondo, di attenzione alla polis. Sono mancate lungimiranza e visione. Non bastano attività sporadiche, occasioni di spettacolo effimere. Le principali istituzioni culturali hanno perduto vitalità, rapporto con la città e immagine a livello nazionale".

Partiamo del teatro.

"L’involuzione del Metastasio è evidente. Non vivo più a Prato e giro molto l’Italia: tanti mi chiedono cosa è successo al Metastasio. Credo soffra di una forma di narcisismo, per la quale si finisce per lavorare riferendosi soprattutto agli addetti ai lavori e non al territorio, che per un teatro pubblico è prioritario. Poi c’è una scelta passata sotto silenzio che è emblematica".

Quale?

"Hanno rovinato la platea, che Strehler diceva fosse la più bella fra i teatri italiani, inserendo i tavolini tra le poltrone, che non hanno nessun senso. Al Metastasio il pubblico ha un rapporto bellissimo con il palcoscenico, perché quei tavolini? Perché il Comune non ha detto niente?".

Il Politeama?

"Ha una gestione lungimirante con una programmazione intelligente, spettacoli di qualità e vera attenzione verso il pubblico nei suoi vari segmenti".

Il Pecci?

"Il Pecci purtroppo non solo ha perso la sua centralità a livello nazionale, ma negli ultimi anni anche in Toscana, a cominciare dal ruolo di Palazzo Strozzi e non solo. L’ultima mostra importante è stata La fine del mondo di Fabio Cavallucci, che poi è stato mandato via frettolosamente. Anche qui i numeri dei visitatori testimoniano che il rapporto col pubblico non c’è".

Il patrimonio artistico?

"Palazzo Pretorio, Musei Diocesani, Palazzo Datini, sono di grandissimo valore storico culturale, ma per valorizzare questi “tesori” anche a livello turistico, serve una strategia vera, fatta di sinergie, di attività di maggiore respiro e di una comunicazione molto più efficace. La scelta della nuova conservatrice di Palazzo Pretorio dalla graduatoria del Museo della ceramica di Montelupo fiorentino, e non attraverso un bando ad hoc come sarabbe stato giusto per un istituzione così importante, non fa purtroppo ben sperare. Ma non è l’unica a lasciarmi molto perplesso".

A cosa si riferisce?

"E’ la prima volta che Prato non ha un assessore alla cultura. Ho letto che la sindaca Bugetti affiderà un incarico di coordinamento a Francesco Fantauzzi. E’ come abdicare la strategia culturale della città... Un ente pubblico deve avere una propria filosofia, individuare le emergenze e i bisogni, avere visioni per il futuro, non solo per l’organizzazione degli eventi".

La musica?

"La Camerata è un esempio di eccellenza, che mette insieme la qualità delle proposte, grazie a una persona colta come Alberto Batisti, con l’attenzione verso il pubblico. E’ nata da una visione di grande lungimiranza e devo citare Lamberto Cecchi, la sua determinazione per questo progetto. Prato del resto ha sempre avuto dei politici e dei personaggi che hanno buttato il cuore oltre l’ostacolo anche con progetti complessi, che poi si sono realizzati. Prato è una città estremamente interessante e credo che i fermenti ci siano ancora. Vanno però saputi guardare, vanno ascoltati".

Cosa si dovrebbe fare?

"Valorizzare le eccellenze culturali, che devono essere gestite con le giuste competenze e aprirsi all’incontro con la città, non vivere come dentro un castello fortificato. Organizzare una rete delle intelligenze, mettere insieme i talenti e non lavorare a compartimenti stagni. E’ il Comune che decide, ma potrebbe essere utile ascoltare chi può avere idee e visioni, lasciando perdere certe zavorre corporative che spesso hanno influenzato negativamente. Bugetti si è insediata da poco, forse non è ancora riuscita a metterci la necessaria attenzione, forse è stata mal consigliata. La cultura non può essere affidata a un organizzatore di concerti".

Segnali positivi da cogliere?

"Il recupero degli spazi in San Domenico grazie alla Diocesi, i fermenti dell’arte contemporanea con i molti artisti che lavorano a Prato e i collezionisti fra cui spiccano Carlo Palli e Giuliano Gori, di cui rimane un segno indelebile. Ma ci sono anche piccole iniziative di rilievo come il festival del Monteferrato ideato da Valentina Banci. Fra le note dolenti cito Villa Fiorelli nel bellissimo parco di Galceti, mi sono venute le lacrime a vederla ridotta così...".

Com’è dopo tanti anni il suo rapporto con Prato?

"E’ la mia città e non riesco a rimanerne distaccato, anche se non ci vivo da tempo. Perché è ’ grazie alla cultura che si rilancia un luogo e che si può creare anche un indotto economico. Servono però competenze e capacità d’ascolto, serve ripensare alla cultura come una pratica che non si riduce al puro uso, per ritrovare l’energia e la forza di aggregazione e identificazione all’interno di una comunità, a cominciare dalle periferie, dove si trovano i fermenti nuovi. Prato è un formidabile laboratorio multiculturale. E’ una città unica, che può unire la sua storia antica al contemporaneo in uno straordinario sincretismo".