CLAUDIA IOZZELLI
Cronaca

“Sparare ai lupi non si può”. La Toscana spegne la caccia: “Specie nella catena ecologica”

Scienziati e tecnici fanno chiarezza sulle norme: “Sbagliato ucciderli, vanno gestiti”. “Nel Chianti è riuscito a far diminuire gli ungulati, risollevando il morale ai produttori di vino”

Un esemplare di lupo

Un esemplare di lupo

Prato, 26 marzo 2025 – Da incarnazione del demonio e padre di tutti i mali economici, a pet e totem spirituale: ruoli che l’uomo ha dato al lupo nel corso dei secoli e nei quali, il grande carnivoro che ha naturalmente ripopolato anche l’Italia negli ultimi decenni, viene spostato come una pedina su una grande scacchiera d’interessi. E’ così che la notizia della possibilità di abbattere fino a 22 lupi in Toscana, circolata nei giorni scorsi, è diventata un volano per false informazioni, di strumentalizzazione e soprattutto ha creato un gran subbuglio all’interno della categoria che ha veramente dei problemi col lupo, gli allevatori. “Agli allevatori va il massimo rispetto – spiega Marco Apollonio, professore dell’Università di Sassari e uno dei più grandi esperti di lupo in Italia – perché loro hanno veramente molti problemi. Non è il caso quindi di illuderli che segnalando un problema, inviando una mail e uccidendo il primo lupo uscito da un cespuglio i loro problemi vengano risolti. Anzi...”.

Quali problemi si creano a uccidere un lupo a caso?

“Partiamo dal fatto che non abbiamo dati in Toscana, gli ultimi studi sul numero minimo dei branchi risalgono al 2016/2017: era un monitoraggio che ci dava un quadro abbastanza preciso della situazione, che poi si è evoluta. Non si può pensare che nel 2025 la situazione sia la stessa di 8 anni fa. Il monitoraggio nazionale ha fornito solo dei numeri, scaturiti incrociando modelli matematici con la genetica, non ci ha dato indicazioni sui branchi. Detto questo, faccio un esempio. Abbiamo un branco che stiamo studiando a San Rossore che, sebbene abbia una disponibilità notevole di animali domestici da predare, si nutre soltanto di selvatici. Ecco, se per caso venisse eliminato questo branco, in breve tempo subentrerebbero altri lupi che potrebbe preferire i domestici, quindi andremmo a creare un problema che al momento non c’è. Per questo non si può rimuovere un lupo a caso”.

Cosa serve allora?

“Serve la conoscenza. Non si può parlare di abbattimenti senza parlare di gestione e il lupo, come tutti i grandi mammiferi, va gestito, rispettando il ruolo che ha in una catena ecologica. Ma partendo da basi scientifiche e in un’ottica complessiva. Se pensiamo che l’arrivo nel Chianti del lupo, che è riuscito a far ridimensionare un po’ il numero degli ungulati, ha risollevato il morale ai produttori di vino...”.

Una situazione complessa, che si inserisce in un panorama regionale dove i danni da lupo sono infinitamente inferiori a quelli degli ungulati e dove la percezione della pericolosità della specie è aggravata da una maggiore visibilità del lupo nelle aree antropizzate. Da dove arriva quindi la notizia circolata negli ultimi giorni? A spiegarcelo Duccio Berzi, uno dei massimi esperti in Toscana dell’argomento e per questo nel ’Team Lupo’ della Regione. “Il 20 di febbraio – spiega Berzi – sono stati presentati alle Regioni e alle Province autonome, due protocolli tecnici elaborati da Ispra che forniscono indicazioni in merito alla possibilità di richiesta di deroga alle rimozioni dei lupi, ai sensi della direttiva Habitat. La direttiva, che tutela il lupo come molte altre specie, permette infatti in casi particolari e ben definiti di intervenire anche con abbattimenti, ma sempre che sia garantito il mantenimento della specie in uno status di conservazione favorevole, che i danni siano effettivamente rilevanti e che siano state tentate tutte le strade possibili”.

Cosa cambia quindi?

“Al momento non cambia niente e non esiste tanto meno la possibilità che il singolo allevatore possa avanzare richieste in merito. La competenza rimane infatti alle Regioni. La possibilità di intervenire sui lupi attraverso questo percorso risulta inoltre condizionata dalla reale possibilità che siano accolti ricorsi e che quindi subentrino blocchi o sospensivi delle iniziative, come è già successo per Trento e Bolzano, considerando anche che lo strumento di gestione della specie che è previsto dalla normativa, il cosiddetto ’Piano lupo’ è fermo al Ministero da circa 10 anni. Siamo quindi inadempienti sotto questo aspetto”.

E a livello europeo?

“Qualcosa si sta muovendo – conclude –. E’ del 7 marzo la ratifica del declassamento della specie in ambito della Convenzione internazionale di Berna ma occorre ottenere il declassamento anche in ambito europeo. Se questo percorso dovesse avvenire, ci sarà la possibilità di cambiare la legge nazionale. Solo a quel punto le Regioni potranno proporre dei Piani di gestione sulla specie, come avviene in alcune aree di Italia su specie come la marmotta o lo stambecco. Questo non significherebbe comunque aprire a una caccia al lupo indiscriminata, perché il primo vincolo, vale a dire il mantenimento della specie in uno status di conservazione favorevole, deve essere rispettato”.